Fantasy, MUBI, Recensione, Storico

DETECTIVE DEE E IL MISTERO DELLA FIAMMA FANTASMA

Titolo OriginaleDi Renjie zhi Tongtian diguo
NazioneCina, Hong Kong
Anno Produzione2010
Durata122'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

Siamo nell’anno 690 d.C., al tempo della dinastia Tang, nella città capitale di Luoyang. Vi si sta costruendo un monumentale stupa buddista. Quando sarà completato, la prima donna Imperatrice della Cina, Wu Zetian, salirà formalmente al trono del Paese più grande e potente del mondo. Ma una serie di misteriose sciagure minaccia l’ascesa di Wu al potere: diversi uomini sono morti per autocombustione in pubblico. Decisa a risolvere il caso prima di salire al trono, Wu si rivolge a un candidato improbabile, Di Renjie, fatto imprigionare otto anni prima dopo che lui l’aveva criticata per aver preso il potere alla morte dell’Imperatore: lo nomina Giudice Supremo dell’Impero, affiancandogli nell’indagine il violento e ambizioso magistrato Bei Donglai…

RECENSIONI

Vertigine pop: Tsui Hark gira un wuxia storico con derive fantasy, che si sviluppa secondo una detection classica, da whodunit dei tempi che furono, percorso da dialoghi screwball, venato di melò, infarcito, sino alla nausea, di CGI. La pratica della contaminazione all'estremo, mix di generi, umori, modi di fare cinema. Quello dello stupore e dell'effetto, sostenuto dall'invadenza e dalla strafottenza infantile della computer graphic, ingombrante sul talento prettamente cinematografico di Tsui, ma capace di costruire scenari epici, eccessivi e ironici, di supportare con effetti senza timore del ridicolo il côté wuxia-fantastico e di essere forma furiosa, ingorda e scostumata, ma assolutamente coerente, di una sostanza che simula un'ingenua e divertita nonchalance nel rimestare nel calderone dell'immaginario, tra alto, basso, trash e sublime. Ma anche quello, presente in repentine illuminazioni, del Grande Cinema di tempi artigianali dimenticati, con un lavoro raffinato sul montaggio, sulla scrittura ardita dei dialoghi, sulla recitazione (cast imperiale). Finale ambiguo, come solo certe opere di genere sanno essere. Sperimentale, sull'abusato.

Tsui torna dalle parti di Zu Warriors, del wuxiapan fantasy, del tripudio di effetti speciali, del barocco figurativo e drammaturgico, della smoderatezza in ogni anfratto (ad eccezione dell’horror e dell’azione violenta, che pur ama), dello spielberghismo ad opera, però, di un ribelle, insofferente alle pause, al racconto piano, cui preferisce l’iperbole nel montaggio e nelle riprese. Il suo difetto maggiore resta il vezzo della velocità eccessiva, nei dialoghi come nelle informazioni, nei cambi di set o situazioni, nella rotta del racconto e dei personaggi: non lascia tirare il fiato e rischia sempre di non valorizzare appieno i turning point. Ama la messinscena eccessiva più che la coerenza narrativa in sé, non curandosi di inverosimiglianze e ridicolo: il racconto, tratto da un romanzo di Lin Qianyu, è forgiato nella fantastoria di una figura realmente esistita e/o/comunque patrimonio del folklore popolare, e gli fornisce un’occasione d’oro nel momento in cui il detective sherlock holmesiano (deduttivo e atto a scoperchiare le superstizioni) deve smascherare proprio una messinscena. L’opera è un’infinita rincorsa fra Dee che sbuccia la banana e Tsui che si diverte a ricoprirla, fino al buco nero creato da materia (Dee) e antimateria (Tsui), quando il detective, ai fenomeni soprannaturali, dona spiegazioni razionali ancora più assurde, facendo il gioco del regista che, dopo aver intrigato nella spettacolarità fantasy e nella detection della mystery story, gioca anche la carta poliziesca senza esoterismi. Due ore movimentatissime, con cinetica totalizzante (complici anche le ambiguità dei personaggi), colme di invenzioni e situazioni, CGI e tradizionali scenografie gigantiste, con accozzaglia di generi e riferimenti (c’è pure Caronte).