TRAMA
Po-wing e Yiu-fai sono una coppia che lascia Hong Kong per l’Argentina “alla ricerca della cascata dipinta sulla loro lampada”, ma soprattutto in cerca di “un futuro”.
RECENSIONI
«Il n'y a plus que la Patagonie, la Patagonie, qui convienne a mon immense tristesse...». Questo l'esergo del capolavoro di Bruce Chatwin, In Patagonia, estratto dalle Prose della Transiberiana di Blaise Cendrars. Se il nomadismo è compulsione e dipendenza, se l'orrore del domicilio è "la grande malattia", è irresistibile rilanciare fino al non plus ultra, a finisterre, alla fine del mondo. Se sembra a prima vista azzardato accostare immaginari tanto distanti - i grandi camminatori estatici Chatwin e Herzog con i nomadi urbani che si spostano in metrò nelle megalopoli asiatiche nei film firmati Wong Kar-wai - le coincidenze sono molteplici. Non solo la meta - metafisica più che reale, miraggio più che luogo - che è il sud del Sud America bensì anche l'innesco: come il viaggio chatwiniano comincia fantasticando su un oggetto, la pelliccia di "brontosauro", così Happy Together arricchisce l'elenco dei feticci kitsch della filmografia del suo autore con una lampada raffigurante le cascate di Iguazu, una lampada magica che catalizza un viaggio simbolico, fallito come viaggio d'amore, poi recuperato come pellegrinaggio catartico. E c'è il movente: una immense tristesse. Per gli uccelli con una zampa sola costretti a un perpetuo movimento che sono la teoria dei personaggi immaginati da Wong Kar-wai come per l'irrequieto, insoddisfatto Bruce Chatwin per cui la vita era sempre altrove, c'è un vuoto bruciante, una incompletezza a servire da combustione interna per il moto perpetuo. Dopo tanti tentativi di amori difficili, asimmetrici, sghembi non resta altro che la Patagonia.
Happy Together (1997) è un momento cardinale, uno snodo della filmografia di Wong Kar-wai perche si pone come ponte e svolta tra il distico Hong Kong Express / Angeli perduti (1994-5) e "In the mood for love" (2000). Se fino ad allora i suoi personaggi si limitavano a percorrere freneticamente, cercando di divincolarsi, ma in moto centripeto i labirinti di Hong Kong City - semmai a attraversarla in moto fino ad astrarla - e sognare la California, Yui-fai (Tony Leung) e Po-wing (Leslie Cheung) sono i primi che vediamo fisicamente all'estero, sono i primi a farcela, a emigrare. Non scelgono una meta qualunque ma il punto del globo diametralmente opposto: l'Argentina, Buenos Aires. La prima è un'inquadratura di passaporti. La vita è sempre altrove, la tristezza immensa. A mali estremi, estremi rimedi: non resta che provare l'altro capo del mondo. Avendo rotto l'incantesimo della paralisi geografica si potrà passare a "In the mood for love", capolavoro degli spazi angusti, coreografia claustrale, i cui protagonisti avrebbero infine accettato la possibilità dell'ubi consistam (il cielo in una stanza) ma non sono capaci di abitarlo. Se per temi, personaggi e stile Happy Together è assimilabile al primo Kar-wai, i segni premonitori sono numerosi. Le apparizioni risolutive di luoghi alla fine del mondo (l'ultimo faro all'estremo della Terra del Fuoco, Iguazu) come figure ieratiche, sovraccariche, come poli magnetici, fanno pensare all'epifania di Angkor Wat in quel finale, benché in questo caso non siano il colpo di scena che fa esplodere il film. Il faro dove approdano gli infelici, la cascata magniloquente sono presenti dall'inizio o quasi: una fortissima attrazione, immagini potenti dalle quali, prima che da inneschi narrativi precisi, prende abbrivio la storia. Il simbolo viene dopo l'immagine. Anche perciò il cinema di Kar-wai è cinema di falene.
C'è un elemento che rende Happy Together unico nella sua filmografia: gli amanti sono due uomini, è una storia omosessuale, ma il fatto meraviglioso - ancora più dirompente ai tempi della prima uscita in sala piuttosto che adesso - è che quasi non ci si fa caso. Kar-wai si limita a cambiare il genere di un coprotagonista, tenendo saldo Tony Leung, senza addizionare automaticamente le conseguenze di prammatica dell'omosessualità: la marginalità sociale, la necessità di nascondersi, i conflitti familiari e così via. Oppure senza collegarle in termini causali se anche i loro predecessori eterosessuali di Hong Kong Express, "Days of being wild" eccetera erano altrettanto strani e emarginati. È semplicemente un film di Wong Kar-wai e questa naturalezza, questa refrattarietà al trattamento specifico ha reso probabilmente un potenziale ulteriormente emancipatorio ai suoi spettatori omosessuali. Ciò che non passa dal genere, passa dai generi. Happy Together trova la sua identità, assolutamente ibrida, nei generi e nell'ossidoriduzione al "genere kar-wai". A un livello linguistico ancor prima che narrativo, si tratta di un film decisamente queer. E il Sud America con il suo meticciato figlio di colonialismo e migrazioni tra europei e indios è il posto giusto.
Tra tutti i generi cinematografici canonici, nessuno - se non forse il musical - è stato utilizzato per codificare l'omosessualità più del melò. I melò di Douglas Sirk dove tutto era implicito, lingua per iniziati, non a caso hanno conosciuto una traduzione letterale in chiave esplicitamente omo da parte di Rainer Werner Fassbinder e Todd Haynes ("Far from heaven"), lasciando invariato il linguaggio in fatto di caratteri, specifico filmico, estetica, immaginario. Era già tutto pronto. Genere da sempre presente nel pastiche kar-waiano, da sempre particolarmente affine alla sua sensibilità, diventa correttamente dominante fin dall'innesco patetico, quel "ricominciamo" ripetuto come un mantra e un incantesimo da Po-wing. Dal melò viene anche l'attitudine autodistruttiva dei personaggi. C'è un altro genere che, in apertura di decennio, grazie a film diversamente spartiacque come Thelma & Louise e My own private Idaho diventa apertamente gay dopo esserlo stato spesso implicitamente ed è il road movie. L'omosessualità è sempre stata uno dei più potenti inviti al viaggio in quanto sradica(va?) dalla struttura sociale, dalla patria, dalla stanzialità della famiglia d'origine e dalla replicazione della famiglia stessa oltre a costringere a muovere verso nazioni più calde e tolleranti (o semplicemente più povere) dove trovare una sessualità più facile. Il trattamento Kar-wai consiste nello slittamento dalla traversata del deserto verso la terra promessa (il luogo utopico di una società diversa dove non saremo diversi) a una variazione sul tema degli uccelli dalla zampa sola. Tuttavia non è vero che lo specifico omo non abbia ripercussioni: gli amplessi sono molto più espliciti del solito, ci sono più nudi, la fisicità dell'amore più animalesca, più maschile. Anche lo stile registico ne risente: Happy Together è un film cangiante che lascia un'impressione di estrema eleganza pur essendo in larga misura il film più grezzo del regista, al confine con l'home movie e il guerrilla film making al di là del solito ipercinetismo e dei soliti ralenti che incastonano nell'ambra i momenti preziosi (la scena incantata e incantevole della partita a pallone: Tony Leung in voice over dice che l'estate è passata velocissima, aspira la sigaretta e si volta a guardare il giovane cameriere di cui è innamorato). Un altro genere extracinematografico cui si fa riferimento è l'opera, altro topos gay, che si ritrova nelle riprese wagneriane (che infatti potrebbero essere serenamente herzoghiane) della cascata. E poi il tango, la cosa più Kar-wai che si possa trovare in Argentina, "un pensiero triste che si balla", ritmo di desiderio e procrastinazione continua del desiderio.
A Buenos Aires, come nella Hong Kong dei film precedenti, piove molto spesso. Pare una città fatta solo di transiti, di non luoghi o di luoghi transitori. La provvisorietà delle stanze in affitto nell'estero più estero ci sia - l'altro capo del mondo - è vertiginosa. La notte, poi, è molto simile: luci, fanali, insegne, neon e grandi spazi a fare da contraltare metafisico alle camere anguste, da rovescio della stessa desolazione. Kar-wai filma la notte come Chantal Akerman e come solo i nomadi possono fare: come un oceano di nero / blu oscuro senza fondo né toni puntinato di golfi luminosi dove tentare l'approdo. Il finale, a Taipei, è una sorta di inno alle città degli anni novanta al cinema mentre il decennio si avviava al declino: uno spazio a misura d'uomo, sconfinato e aperto perché i sogni e le evasioni possano essere immense ma al contempo mappa di rifugi, di passaggi segreti, una jungla urbana di grattacieli dove muoversi senza attrito per treni, metropolitane, come nel videoclip di Ray of Light di Madonna. Un luogo ancora sostanzialmente felice, parzialmente innocente.
Happy Together aggiunge nuovi frammenti al discorso amoroso intessuto dal regista cinese. Si ritrovano alcuni archetipi - letterari o effettivi, cambia poi molto? - specifici agli amori omosessuali: l'amore impossibile e l'amore morboso. Il doppio amore di Tony Leung ha caratteri diametralmente opposti, innanzitutto perché la love story è un amore in senso pieno, con il sesso e le pastoie della convinenza e della normalizzazione, mentre il secondo innamoramento resta idealizzato, non confessato e non consumato e perciò puro e perfetto, un amore-primavera che fa rifiorire e rinascere benchè, concretamente, si risolva in qualche abbraccio il cui valore emotivo esponenzialmente esploso Kar-wai sottolinea stravolgendone la durata con espedienti, montando diverse prospettive, per far trasparire che in certi momenti stellari il tempo non esiste più, che per un brevissimo tempo il tempo può essere sconfitto. Invece la storia tra Leung e Cheung continua a ricominciare pur essendo una relazione malsana, che non sfigurerebbe in un film di Luchino Visconti per i suoi caratteri sadomasochisti che sconfinano nella sindrome di Stoccolma, oppure nella Recherche proustiana quando i protagonisti si intossicano vicendevolmente e Leung tiene l'amante "prigioniero" della stanza come fosse Albertine. Si tratta di un amore-prigione che tiene entrambi in cattività ma dal quale non si ha il coraggio di evadere. Un amore tossico, in tutti i sensi. La cura verso l'altro diventa ossessione, aggressività. Invece l'incontro con il cameriere, benché rimanga puramente platonico, ribalta i ruoli e cura la ferita d'amore - inflitta e autoinflitta - semplicemente regalando giorni felici, la festa che come la gioia nietzschiana chiede solo di durare, la sospensione del peso dell'esistere. E, a proposito di gioia, il finale a Taipei è un pellegrinaggio speculare al viaggio al faro da dove Chang ha spedito una cartolina. Chiu-wai va a conoscere, in incognito, i genitori del ragazzo. È un atto d'amore gratuito e senza scopo cui segue la già citata sequenza finale da cui i protagonisti e i loro tormenti scompaiono e resta solo la città, la metropoli, in uno dei suoi estremi momenti di innocenza. E di possibilità sterminata. Happy together. Non importa come, con chi. Non importa il soggetto.