Commedia, Recensione

UN INCANTEVOLE APRILE

Titolo OriginaleEnchanted April
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione1992
Genere
Durata95’

TRAMA

Anni venti: due mogli frustrate decidono di affittare una villa in un posto paradisiaco in Italia. Per dividere le spese, portano con sé anche un’anziana e acida vedova e una donna procace stanca di spasimanti.

RECENSIONI

Mike Newell l’ha girato per la televisione britannica ma la BBC, intuite le potenzialità del film, ha venduto i diritti per la distribuzione al cinema nel resto del mondo, riportando l’attenzione su di un regista dotato (Ballando con uno Sconosciuto, sempre con Miranda Richardson), portato per i problematici rapporti di coppia e destinato a mettersi in mostra più volte per non finire nel dimenticatoio (vedi il successivo Quattro Matrimoni e un Funerale). Tratta dal romanzo (1921) di Elizabeth von Arnim (già portato al cinema nel 1935), l’opera s’inserisce in un fecondo filone inglese (E.M. Forster, molto James Ivory, qualche David Lean, Michael Radford e Misfatto Bianco) dove l’eleganza e la compostezza femminile (borghese) si “libera” dai tabù a contatto con paesi esotici, più “solari”. Purtroppo Newell, alla forma nobile del romanzo psicologico, di formazione, intimistico e sentimentale, affianca il bozzetto facile (il marito “notaio”…) per finire sulla strada della favola buonista che “scusa” in ritardo certe scomode grossolanità. Ma non è ammiccante: ha da sempre una certa predisposizione per la creazione di atmosfere incantate (un San Salvatore genovese davvero sensuale, romantico, terapeutico, attraente) e spesso è andato alla ricerca di valori e lieti fini poco (cinicamente) inglesi. Comprensibile, quindi, l’eco creata da quest’opera in cui il pubblico femminile s’è specchiato con quattro protagoniste dissimili ma accomunate dal bisogno di evadere, di liberarsi per ri(s)coprirsi. Newell non pretende di essere raffinato, tantomeno poco prevedibile: è fuori dubbio che passi con troppa facilità da un approccio riflessivo (con tanto di Io narrante), per quanto mitigato dalla leggerezza di tono, ad uno “miracoloso” in allegria (quanto è forzato l’assemblamento di coppie nel finale…), ma piacciono i codici insoliti che di solito utilizza (qui la Richardson parla direttamente in macchina da presa o è ripresa, allegoricamente, in simbiosi con la natura), da iconoclasta che non ostenta, talmente timidi da fare apparire le sue opere più di genere (e maldestre per esserlo) di quel che sono. Notevole il personaggio “chiave” di Josie Lawrence, buffa l’idea del partner miope per la donna appariscente.