Drammatico, Recensione

TOUT CONTRE LÉO

Titolo OriginaleTout contre Léo
NazioneFrancia
Anno Produzione2002
Durata90'
Sceneggiatura
Trattodall'omonimo romanzo di Christophe Honoré
Fotografia
Musiche

TRAMA

Léo ha ventuno anni, è il primo di quattro fratelli e ha contratto l’AIDS. La famiglia decide di non rivelare la situazione a Marcel, il figlio più piccolo.

RECENSIONI

Film nato per il canale M6 - che non lo trasmise per il rifiuto dell'autore di eliminare una scena giudicata troppo esplicita («È piuttosto desolante constatare che l'omosessualità in televisione passa solo se non c'è omosessualità») - Tout contre Léo deriva da un suo romanzo preesistente, una traccia narrativa rilevante in un lavoro in cui, comunque, sono le marche del cinema dell'autore a essere ben visibili: l'uso fuori dagli schemi della macchina da presa, la modulazione cosciente dello spettro cromatico - anche se in una chiave meno astratta e ardita rispetto al debutto 17 fois Cécile Cassard -, l'impressionismo nella costruzione del racconto. Anche a livello puramente tematico il film è un viatico perfetto alla poetica dell'autore: la morte, attesa o imprevista - qui trattata dal duplice punto di vista di un adulto che la subisce e di un bambino che la constata - è fil rouge nell'opera del regista.

Il dodicenne Marcel, circondato da figure adulte, assorbe il dramma della sieropositività del fratello Léo, che dilania l’intera famiglia. La malattia del fratello lo segna in modo particolare, stante la pervicace convinzione dei familiari di tenerlo fuori dalla questione, laddove questa gli urla da ogni canto: Marcel diventa Léo, diventa colui che genitori e fratelli vogliono proteggere dalla tragedia, quella stessa da cui non sono riusciti a proteggere il malato e se stessi. Marcel ha però preso coscienza di quanto avviene e vuole asserirlo, non ci sta a essere tagliato fuori dal tormento di una famiglia sempre unita, chiede di poterlo affrontare ed elaborare, abbattendo il muro eretto intorno a Léo, alla sua omosessualità e alla sua malattia, un muro che è fatto - più che di pudore - di paura dell’inevitabile e della sua conseguente rimozione. L'ineffabilità delle due questioni si esprime in modo sottilmente visivo, con una serie di rimandi puri e arditi a un tempo, che dimostrano quanto Honoré abbia già una modalità espressiva molto chiara, un gusto già cosciente per l'immagine forte ed evocativa, latamente simbolica, mai bassamente provocatoria e sempre integrata nel corpo dell'opera: così la terza questione ineffabile (la morte) è tutta nella sequenza in cui Léo viene ritratto dal fratello in quelle che, in tutta evidenza, sono già delle foto-ricordo.

In un lavoro ancora lontano dalla fluidità delle opere successive, dalla spigliatezza anche recitativa dei film maggiori, si avverte già un senso quasi materiale dei corpi: Honoré maneggia la carne dei suoi attori come materia drammaturgica, traducendo la prossimità affettiva, la complicità e l'intesa dei familiari (e dei fratelli in particolare - cfr. il romanzo La douceur -) in termini fisici: continuo è l'abbracciarsi, lo stringersi, il toccarsi; la macchina da presa traduce il legame tra i personaggi, la loro solidarietà nel dolore, in un continuo avviluppo di braccia, di sovrapposizione di membra, di delicate, calorose congiunzioni (Close To Leo è, non a caso, il titolo internazionale del film). È un dato, quello dell'affetto espresso attraverso il contatto, che attraverserà tutta la produzione del regista.
Per quanto, dunque, Tout contre Léo funzioni magnificamente come film leggibile e narrativo (si prenda come esempio la splendida sequenza dell’addio in stazione tra Marcel e Léo che si conclude con un’ambigua iniziazione simbolica all’età adulta, quasi truffautiana), il ruolo dell’immagine assume già una rilevanza netta, anche attraverso soluzioni visive molto ricercate, con i morbidi blu primari e schizzi di rosso sangue - una costante di Honoré - in bella evidenza e con una deviazione dal corso realistico dell’azione (prima parentesi delle tante che punteggeranno le opere del regista), nella sequenza parigina sulla panchina, in cui Alex Beaupain canta La Bastille, e che segnerà poi una delle scene chiave di Les chansons d’amour.