TRAMA
Il re Aurivandiil viene ucciso dal fratello Fjölnir che si impossessa del regno. Il giovane figlio di Aurivandiir, Amleth, fugge in barca e giura di vendicarsi.
RECENSIONI
The VVitch e The Lighthouse ci avevano consegnato un regista molto fiero della propria – autodichiarata ab initio – autorialità. Per usare una categoria critica bolsa fino all’inutilizzabile, si potrebbe dire che il primo era abbastanza pretenzioso, il secondo lo era moltissimo. Per argomentare un minimo, autocitandomi pigramente, del primo concludevo scrivendo: “un film elegante ma freddo, un horror obliquo scevro di effettacci e spaventi a buon mercato ma incapace di dare in cambio, allo spettatore, vere, tangibili profondità e tensione (anche morale) per dotarsi di una personalità cinematografica realmente autosufficiente. Si può comunque rimanerne affascinati, certo, e non ritenerlo il bluff che io credo di vederci chiaramente. Ma si può anche, legittimamente, seguirlo con progressivo disinteresse fino a un finale pleonastico che rischia di sconfinare nel ridicolo”; del secondo dicevo questo: “C’è un sacco di roba, in The Lighthouse, ma manca proprio il film. Horror concettuale? Grande Metafora? Esercizio di stile? Difficile dirlo. Di certo, il tutto è presentato con supponenza, raffinato fumo negli occhi che rischia già, al secondo film, di diventare cifra. Perché quando il fumo si dirada rimane l’inconcludenza e ci si accorge che manca tutto: tensione, suspense, empatia per i personaggi, interesse di un qualche tipo, che esuli dal cinecosmetico”. Chiosando con un pavido corsivo in cui mi chiedevo se Eggers non potesse essersi già guadagnato il titolo di regista sopravvalutato.
Nel terzo film, Eggers perfeziona la sua costruzione autoriale, rinunciando – almeno parzialmente e consapevolmente – alla propria autorialità, per mettersi al servizio nobilitante di un’operazione più generalista (un po’ come De Palma in Mission: Impossible). The Northman è infatti un virile e piuttosto ordinario* revenge movie di ambientazione vichinga, scespiriano – o forse meglio – SaxoGrammaticus-iano, fino al punto in cui il protagonista, che si chiama Amleth, vuole vendicare il padre ucciso dallo zio. Ovviamente, *ordinario fino a un certo punto, ché non dobbiamo dimenticarci che Eggers è un Autore. Allora ok l’afflato epico, i muscoli, le urla, le spadate, il sudore e il sangue ma la ricostruzione storico/costumistica è più accurata della media, il ritmo stona con quello tipico dei Multisala, la violenza grafica è settata su livelli superiori, l’enunciazione, come si diceva ai miei tempi, è sovente marcata (piani sequenza esibiti, parentesi oniriche), non mancano i momenti difficili da contestualizzare (il rito di iniziazione tra rutti e scorregge) e ci sono passaggi, uno in particolare, in cui sembra che l’operazione voglia autodisinnescarsi diventando (o rivelandosi) altro.
Mi riferisco soprattutto alla scena madre con protagonista Nicole Kidman, alla quale si dà la possibilità di fornire una proverbiale “grande prova d’attrice” (e di giustificare la sua presenza), che dovrebbe rivoltare il film come un guanto e destabilizzare lo spettatore, sabotandone il meccanismo di identificazione col protagonista. È davvero una sequenza chiave perché è un elefante diegetico che partorisce un topolino narrativo: la svolta sembra arrivare ma non arriva e, senza neanche capire bene perché e percome, i dubbi amlethici che il personaggio doveva condividere con noi spettatori, imponendo una rilettura fulmine del film, si dissolvono velocemente e si torna a tifare V per Vendetta, quasi come se nulla fosse.
The Northman è, in definitiva, un film troppo poco autoriale per essere un film d’autore, si sporca troppo poco le mani con la grandeur per diventare la versione arty di Braveheart o Il Gladiatore ed è troppo diseguale e confuso per profilarsi come quello che, probabilmente, vorrebbe essere, ossia una compenetrazione tra due modi diversi di intendere e fare cinema. A voler essere ingenerosi, fino al cattivo, si potrebbe dire che l’ultimo lavoro di Eggers somiglia molto al suo regista: vorrebbe essere – e si presenta come – molto ma rischia di essere poco (o nulla).