TRAMA
Undici anni nella vita di Aung San Suu Kyi, leader del movimento democratico birmano.
RECENSIONI
Portare sullo schermo (sedici anni dopo Oltre Rangoon, che affrontava marginalmente il tema) la vita, o almeno la sua parte più movimentata e dolorosa, di una leader politica per caso o per destino, che abbandona proprio malgrado una tranquilla esistenza borghese per guidare la resistenza contro un regime tirannico che la isola dal mondo, ma non riesce a debellare una determinazione che nasce dal profondo, che scorre letteralmente nelle vene della donna e che viene ulteriormente rafforzata dal sostegno costante, indiscusso, cieco e sordo (persino davanti a un 'legittimo' egoismo) della sua famiglia: a Luc Besson non manca l'ambizione, e non da oggi. Michelle Yeoh non gli è da meno, e con grinta e abnegazione pari a quelle del suo personaggio si annulla nella figura della piccola e tenace 'orchidea d'acciaio' che sfida il braccio violento del potere e finisce per soggiogarlo. Per quale motivo The Lady risulta così fiaccio e sfilacciato, trascinandosi per un tempo che sembra superare di molto le due ore abbondanti, durata che è, del resto, di prammatica per i biopic a vocazione epica? Nel tentativo di evitare l'agiografia, il regista finisce per bypassare il personaggio, facendo del marito Michael (David Thewlis, esemplare) l'autentico protagonista del film. Dopo l'incipit dedicato al padre della donna, il racconto prende le mosse dalla decisione di Michael, malato di cancro, di non rivelare alla moglie la propria condizione, per non costringerla a sacrificare agli affetti privati l'amore per il proprio Paese. The Lady si sviluppa quindi come un lungo flashback in cui a Michael è riservato il ruolo di voce neppure tanto occulta della coscienza, anche politica, di Suu: all'attivismo frenetico dell'uomo (che riuscirà a ottenere per la moglie il Nobel per la Pace) si contrappone l'immobilità della donna, una prigionia non esclusivamente fisica che solo la musica e le voci sempre più lontane di amici e sostenitori sono in grado di alleviare. Una prigionia che però, soffocata dallo strapotere delle scene ad effetto (la sfida alle armi spianate) e delle annotazioni di colore (gli incontri con le minoranze etniche), non ispira al regista che un paio di sequenze degne di nota (l'ascolto della cerimonia da Oslo e l'incontro con il giovane soldato), risolte peraltro in maniera scolastica, retoricamente piatta, quasi svogliata. Così come superficiale e quasi da Bignami è la descrizione del background intellettuale (il libro su Gandhi letto al capezzale della madre: una reminiscenza da sussidiario, a esser buoni) ed emotivo (la manifestazione antiregime spenta nel sangue) della leader politica, che finisce per risultare non già un enigma, ma una figura maldestramente abbozzata. Davanti alla sequenza finale, tanto concisa e generica da sfiorare la parodia involontaria, viene da supporre che il film sia stato vittima (difficile dire in quale fase) di tagli sconsiderati. Forse l'uscita in dvd, che non mancherà di proporre il director's cut, potrà fornire qualche arma in più a un'opera di pregevole fattura, ma irrisolta e monocorde, troppo melensa per essere rigorosa, troppo asciutta per avvincere come il melodramma politico che vorrebbe disperatamente essere.