TRAMA
Lo scalcinato e simpatico Jeffrey Lebowski viene prima aggredito perché scambiato per il miliardario suo omonimo, poi ingaggiato da quest’ultimo per condurre a buon fine il riscatto per il rapimento della giovane e piacente moglie…
RECENSIONI
Detective story, giallo ingarbugliato (Il Grande…Sonno), Raymond Chandler e David Lynch (la voce narrante di una sorta di angelo che, nel finale, inopportunamente spiega direttamente allo spettatore ciò che aveva già compreso) sposano la soggettiva di un fricchettone losangelino, pigro e fatturione, “Drugo” da noi, “Dude” in originale (che significa, ironicamente, “fighetto”): un ottimo Jeff Bridges con pancione in bella vista. Crea effetti esilaranti il porre a protagonisti degli anti-eroi, sfigati irresponsabili che decantano la filosofia di vita del "Prendila come viene", contrapponendosi con la loro piena libertà all'etica del self-made man indaffarato (l’antitesi è il Lebowski miliardario). I fratelli Coen partono ancora una volta da un rapimento (Arizona Junior, Fargo), condiscono con un soundtrack che contrappone i C.C.R. agli Eagles e non rinunciano ai virtuosismi (il carrello veloce che, dalle praterie, ci porta nella metropoli; la bizzarra soggettiva dall'interno della palla da bowling), divertendosi un mondo a mettere in scena i trip acidi del protagonista in volo (anche su tappeto magico) e ballerino in un musical di Busby Berkeley contaminato con le stravaganze “rock” di Ken Russell (Tommy). Il loro genio, però, si manifesta appieno nelle caratterizzazioni grottesche: lo scemo di Buscemi, lo scoppiato e iroso di John Goodman, parodia della retorica sui reduci del Vietnam, il pornografo Gazzarra, il segretario ruffiano, il pederasta vanesio di Turturro, l'artista femminista della Moore che dipinge nuda ed in volo, l'affittuario danzatore-pan, il gruppo di disperati tedeschi nichilisti. Hanno veramente immaginazione e talento da vendere: ritmo scoppiettante, folle e pungente sarcasmo, epica che nega se stessa (vedere i ralenti al bowling), apologia dei brutti, sporchi e cattivi in un Teatro dell’Assurdo dove Tarantino (i dialoghi, il mix di ironia e violenza) incontra la visionarietà di due fratelli che amano l’autoironia e gli outsider. Un predecessore: Kingpin dei Farrelly.
Di tutti i perfetti giocattoli cinematografici costruiti dai Coen Bros., Il Grande Lebowski è senza dubbio alcuno il più “giocabile”, divertente e godibile. Il corpus cinematografico coeniano, difatti, può essere letto come una glaciale macchina meta- coerente ma “siderale”, vera morte al lavoro incapace di “vivere” e che non chiede di essere vissuta: il cinema dei Coen si guarda e si (am)mira (se si vuole) con lo stesso stupore attonito e controllato che può suscitare l’elegante dimostrazione di un teorema, ma per scovare qualcosa di simile alla partecipazione, o un’emozione o addirittura qualche impercettibile sbalzo d’u/amore, bisogna davvero infilarsi in una botte e girare con una lanterna… due gli estremi: Mister Hula Hoop - The Hudsucker Proxy, ergo lo 0 Kelvin fatto film, e appunto questo The Big Lebowski, leggibile come un meta (again!) attestato di invidia; tanto i Coen non riescono ad affidarsi al Caso, piegando (piagando?) ogni centimetro di pellicola ad una razionale logica - vicolo cieco, quanto l’irresistibile scazzone dude Lebowski si lascia letteralmente trasportare dal vento (vedi prologo ed epilogo, fin troppo chiari) con sostanziale noncuranza. Certo lo stile è perfettamente coeniano, elegante fino alle soglie del lezioso, controllatissimo e dalla inconfondibile compostezza formale, ma la materia trattata, lo sguardo tra il simpat(et)ico e l’”invidioso” (nel senso suddetto) gettato sulle strambe peripezie del drugo, producono una godibilissima schizofrenia forma-contenuto inedita nel cinema dei fratellini. E “scaldano”. Annullano la consueta distanza che i Coen pongono tra sé, i propri film e il pubblico invocando invece partecipazione e immedesimazione. Fanno il resto una sceneggiatura perfetta (la più divertente mai scritta da Ethan C.), una galleria di personaggi indimenticabili (si pensi allo squinternato reduce del Vietnam), e un manipolo di attori splendidamente in parte, divertenti e divertiti. Fratelli: bene, bravi, ma soprattutto bis (sarebbe l’ora)...