
TRAMA
A Red Rock, Michael viene scambiato per un killer professionista e si intasca il denaro per uccidere la moglie del barista, poi si fa pagare anche dalla vittima per far fuori il marito. Le cose si complicano quando, in città, arriva il vero sicario.
RECENSIONI
L’inverosimiglianza della trama non impensierisce più di tanto, ricca com’è di ingredienti forti, ad effetto e di tocchi ironici che donano all’opera, da subito, un’aria da divertissement in cui godere solo del buon mestiere e dell’inventiva del regista (anche sceneggiatore). Il sesso, l’avidità, l’omicidio, la crudeltà perdono le proprie connotazioni negative per assurgere a meri ingredienti topici di un genere, sublimati in una forma che non si bea della violenza in sé ma della sua deformazione (quasi) grottesca. Amante delle donne fatali, degli intrighi impossibili che intrappolano l’innocente, delle atmosfere cupe (di cui, però, non si compiace), John Dahl è uno dei registi più sottostimati degli anni novanta, autore (minore) vero e proprio (cioè, anche, con personalità riconoscibile ed eterni ritorni nel suo cinema): non ha creato niente di nuovo, ma nel tentativo di aggiornare e riportare in auge il noir nel cinema post-moderno ha lasciato il segno. Certi dettagli sono impagabili, dall’umorismo nero con cui si avvicendano continuamente i cartelli “Welcome to Red Rock” e “You’re leaving Red Rock” (per trasformare il paesino di campagna del Wyoming in un incubo da cui non si può uscire), alla sequenza iniziale fondamentale per comprendere il finale (Nicolas Cage, titubante, non ruba il denaro a portata di mano: è un tipo retto). Dennis Hopper è un magnifico villain, perfetta incarnazione delle nevrosi moderne.
