Thriller

VELLUTO BLU

Titolo OriginaleBlue Velvet
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1986
Genere
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

La scoperta di un orecchio mozzato in un prato porta il giovane Jeffrey a improvvisarsi detective. Le indagini lo portano all’interno di uno “strano mondo”.

RECENSIONI

I remember seeing [David] Lynch's Blue Velvet, which I thought was a magnificent film, some years ago now, of course. I pay it the highest compliment by saying I wish I'd made it myself.
Peter Greenaway

La palizzata imbiancata sullo sfondo di un cielo terso e il folgorante, assoluto incipit; l'occhio della cinepresa che penetra in un orecchio mozzato ed esce da quello di Jeffrey; infine i pettirossi, che avevano popolato il sogno di Sandy, che ritornano, ma recando nel becco insetti repellenti. In mezzo: Velluto blu, il capolavoro di David Lynch del quale dire qualcosa oggi pare superfluo, radicato com'è, questo weird object, nell'immaginario cinematografico: subito amato, celebrato, storicizzato. Dietro la tranquilla facciata di un'ordinaria vita di provincia si nasconde pervesione, vizio, violenza, in definitiva il Male: squarciare il tendaggio di velluto blu che lo nasconde ed entrarci, piombare, corpo e anima, in the other side. Dentro: il Cinema, quello di un pittore - regista che pensa per immagini e firma un'opera libera, scomoda, fuori dalle regole e di fronte alla quale la parole, stremate, si arrendono.
Lynch: la profondità incommensurabile del Banale.

È con quest’opera maledetta e di culto che David Lynch inizia ad aprire le porte (anzi, le orecchie, vedi come inizia e termina il film) di un universo oscuro e parallelo all’idillio della normalità (in Eraserhead eravamo direttamente gettati nell’Altro Mondo): un noir perverso, dove il sesso è trauma. Un thriller sadomaso con sensazioni torbide. Un’allucinazione attrattiva/repulsiva con il passo sospeso dell’Incubo. Lynch turba la visione cercando i “mostri” (Lynch precisa: devianza, non malvagità; e la misteriosa malattia di cui si parla non è l’Aids) che si annidano dentro gli esseri umani e, in un trattato di voyeurismo, cerca l’identificazione (la sua, per le forti matrici autobiografiche con cui connota il Jeffrey di Kyle MacLachlan, e quella dello spettatore) con un protagonista affascinato dalla perversione insita in una coppia che, tutto sommato, mette in scena una storia d’amore. Il Frank Booth di Dennis Hopper (superlativo e temibile con le sue citazioni di Roy Orbison e la maschera d’ossigeno) è (anche) l’alter-ego/Mr. Hyde di Jeffrey in vena di complesso edipico. Prima collaborazione con (il poi) inseparabile musicista Angelo Badalamenti, che ricrea le atmosfere degli anni cinquanta, l’epoca simbolicamente più adatta a ritrarre le esistenze (finto) ovattate, in una cittadina (Lumberton) che finge ingenuamente di non vedere le tenebre, le nasconde sotto il sasso (gli scarafaggi in giardino: Lynch passò l’infanzia per i boschi, seguendo il padre ricercatore scientifico per il Dipartimento dell’Agricoltura), scoperchiato da chi non si accontenta della superficie e ha…orecchie per sentire. Il finale roseo stona tanto quanto è tipico di un autore che crede alla coesistenza (pacifica) di fate e orchi. Il pianeta Lynch (e il pianeta Donna) è di velluto blu, elegante/solare e insieme conturbante/disturbante. Velluto blu è una canzone di trent’anni prima che il regista fa cantare in modo straniato a Isabella Rossellini (al tempo, sua compagna): “Vestiva di velluto blu, e più blu del velluto era la notte”. Fra La Donna che Visse due VolteUn Chien Andalou e Douglas Sirk. Fece molto scandalo, tanto che la Mostra di Venezia lo rifiutò, ma salvò la carriera al Lynch reduce dal flop di Dune.