Drammatico, Recensione, Sala, Sentimentale

PAST LIVES

Titolo OriginalePast Lives
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2023
Durata106'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

All’età di dodici anni, i due amici d’infanzia Nora e Hae Sung vengono separati dopo che la famiglia di Nora è emigrata dalla Corea del Sud. 24 anni dopo, si riuniscono per una settimana quando Hae Sung va a trovare Nora a New York.

RECENSIONI

Ragazzini a Seul, Nora e Hae Sung si piacciono, ma si separano quasi subito perché lei emigra con la famiglia in Canada. A 20 anni è il web a riconnetterli, ma la loro distanza geografica li porta, nonostante il rinverdito feeling, a perdersi nuovamente. Trentenni si ritrovano a New York, un incontro nel quale confrontano le loro vite adulte e quello che avrebbero potuto essere in circostanze diverse.
C’è una profonda consapevolezza nel modo in cui Celine Song racconta la storia di questa relazione a due (che diventa ipotetico triangolo) e che si lega non solo a quanto di autobiografico cela l’intreccio, ma soprattutto al modo in cui viene messo in scena quale esplicita materia narrativa sulla quale ragionare (Nora e il marito - terzo incomodo - sono scrittori). La struttura a vista del racconto è un indizio forte di questa costruzione poiché la storia si articola visibilmente in tre periodi cruciali, segnalati da didascalia: il primo amore tra fanciulli, dodici anni dopo l’amore virtuale di un rapporto a distanza, un altro decennio e l’ineluttabile amore platonico. Si tratta di step che corrispondono a tre variazioni sulla frustrazione di una pulsione sentimentale - mai esplicitamente dichiarata né tantomeno agita - che, nella loro programmaticità, si manifestano quali precisi segnali della metadiscorsività sottesa al racconto.


L’inizio è in tal senso significativo: in flashforward due persone (avventori del bar in cui la scena è ambientata, personaggi fuori campo che spariranno subito dopo essersi espressi) guardano i tre protagonisti al bancone del locale e cercano di indovinare che tipo di rapporto li leghi. In questa scena si dà subito il senso delle possibilità narrative che possono essere associate alla situazione, come se questa immagine fosse l’idea iniziale dalla quale è effettivamente partita la creazione della trama: poniamo di avere questi tre personaggi, qual è il loro vissuto? Cosa li lega e perché li troviamo, a un certo punto della storia, al bancone di questo bar? Non a caso questo prologo si chiude con Nora che guarda in camera: sfondando la quarta parete, quello sguardo rivolto al pubblico rende palese il carattere finzionale di ciò che lo spettatore sta guardando, inaugurando un motivo costante che - sottilmente, ma tenacemente - si ritroverà in tutto il film. Lo si rinviene, per esempio, nelle modalità dei tre incontri di Nora e Hae Sung che insistono su elementi
strategicamente fatali o evidentemente teatrali (e Celine Song viene dal teatro): la madre di lei che combina il date col ragazzino per regalare alla figlia dei bei ricordi coreani (leggi: materiale da elaborare in sede di scrittura); la “casualità” che porta dopo anni Lei a cercare Lui su Facebook, per scoprire che pochi giorni prima Lui aveva tentato di contattarla; la circostanza puntualissima per cui, prima dell’incontro a New York, Hae Sung ridiventa single. Eccetera eccetera. Sono tutte invenzioni palesemente romanzesche, volte a far progredire la narrazione, e che vengono talvolta proposte come esplicitamente funzionali/finzionali (se poco prima della partenza di Hae Sung le previsioni del tempo danno pioggia su New York, guarda caso - dettaglio che viene chiaramente sottolineato, e dunque dichiarato nella sua artificiosità - il giorno dell’appuntamento c’è il sole). Il carattere insieme freddo, quasi matematico della narrazione riflette un processo di elaborazione drammatica in cui anche gli accenti mélo dell’intreccio sono ragionati, lavorati come in una sessione di scrittura creativa. In questo senso è decisivo il ruolo ambiguo di Nora che se da un lato è un termine cruciale della narrazione (la Lei della storia), dall’altro è anche il suo artefice-demiurgo (e, col marito Arthur, un paradossale coro).
Del resto che la sua ansia di scrittrice sia più forte della sua pulsione romantica, Nora lo dimostra quando, dopo il contatto internettaro, abbandona per la seconda volta Hae Sung perché un loro legame significherebbe fare un passo indietro, rinunciare alle sue ambizioni artistiche.

Ma che la narrazione, prima che espletata, sia constatata nel suo prodursi lo dimostra il fatto che di tutto quello che concerne il nucleo della relazione tra Nora e Hae Sung poco si dica e si spieghi: il loro sentirsi legati è presupposto, lasciato all’intuizione dello spettatore, è un’empatia constatata sempre in superficie, laddove, approfondito e sfumato è il rapporto tra Nora e il marito. Questo perché lo sguardo sulla storia platonica è il loro, come dimostrato dal lungo, cruciale dialogo notturno in cui l’idillio tra la donna e Hae Sung viene sviscerato e soppesato dai coniugi anche nelle sue derive ipotetiche. Il vero rapporto in discussione, la relazione principale del film è quella tra Nora e Arthur, dunque, mentre la variante platonica - l’esaminarla, il constatarne le possibilità - è lo specchio attraverso il quale, confrontandosi, i coniugi si mettono alla prova: umanamente, come coppia, certo, ma ancor più artisticamente (letterariamente). L’Arthur scrittore non riesce infatti a non essere affascinato dalla storia dei due amici d'infanzia che si ricongiungono dopo vent'anni per fare i conti con ciò che poteva essere. Arriva persino a dipingersi come il possibile marito geloso, l’eventuale cattivo che complica la vicenda. Con la medesima consapevolezza si va a ragionare sull’altro tema decisivo, quello delle radici e del passato, come suggerito dallo stesso titolo del film che allude anche a un tempo perduto ipotetico-letterario, Nel senso che le Vite Passate sono quelle trascorse sì (con tutto il sottotesto buddista legato alla reincarnazione e all’esposta teoria provvidenziale dell’in-yun), ma sono anche quelle che si sarebbero potute vivere - ovvero scrivere -, tema che, in epoca di multiverso, è divenuto straordinariamente ricorrente.
Ed è impressionante la lucidità con la quale la regista, pur innervando nel suo film questa sottile intelaiatura teorica, non consenta mai all’autoriflessione di ostacolare il fluido dispiegarsi del filo romantico. Un romanticismo che si sintetizza in una battuta che, non a caso, esprime tutta l’ineluttabilità del non prendersi dei due protagonisti attraverso un analitico sillogismo: «La ragione per cui mi piaci è che tu sei tu. Tu sei una che se ne va. Te ne devi andare perché tu sei tu», pronunciata in un coreano incomprensibile al marito (presente), ennesimo momento di cosciente, sottolineata, ragionatissima forza drammaturgica.


Perché è proprio nel perfetto equilibrio tra queste due dimensioni – il guardare questa storia dall’interno (il sentimento perennemente frustrato) e dall’esterno (il potenziale letterario insito nella dinamica relazionale) –, nell’eleganza con cui Song riesce a insinuarsi nell’interstizio che si apre tra intellettualismo e naturalismo, che risiede la capacità di Past Lives di configurarsi come un film al contempo struggente e vertiginoso. Una capacità di cui le immagini danno costantemente conto (vedi i quattro fotogrammi sopra): il palese bivio che separa i protagonisti bambini nel loro primo addio; i libri ben visibili vicino al computer (che dicono di teatro, costruzione drammatica, teoria della scrittura), mentre Nora parla su Skype a Hae Sung; l’arrivo di Arthur alla residenza artistica, inquadrato nella finestra, a sottolineare l’entrata in scena di un personaggio che cambia le sorti della storia. E soprattutto il momento dell’addio finale, quel guardarsi prolungato, uno di fronte all’altro, finto fermo immagine che è chiaramente cinematografico (hollywoodiano, meglio), cerebrale/sentimentale, commovente anche per quel suo dichiarato mettersi in scena.