Drammatico, MUBI, Recensione

LA TERRA DI DIO

Titolo OriginaleGod's Own Country
NazioneU.K.
Anno Produzione2017
Durata104'
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

West Yorkshire. Johnny, un giovane che dedica tutti i suoi sforzi per portare avanti la fattoria di famiglia, cerca di sfuggire alla routine sbronzandosi al pub del paese e facendo sesso occasionale con altri uomini, incapace però di coinvolgersi emotivamente con qualcuno. Tutto cambia con la comparsa di Gheorghe, un immigrato rumeno assunto per dare una mano con i parti del bestiame.

RECENSIONI

 

"It's beautiful here".

Lo dice Gheorghe, lo "zingaro". E Johnny comincia lentamente a guardare con occhi altri quel paesaggio aspro e freddo sovrastato da un cielo perennemente plumbeo, quelle brughiere battute da un'aria sferzante in cui anche i muretti a secco feriscono e dove la primavera somiglia sarcasticamente all'inverno. Un mondo nel cui fango Johnny si sente impantanato, prigioniero di un'esistenza che forse un tempo ha sognato diversa, legato in modo anaffettivo a un padre invalido e arrabbiato e a una nonna dai modi secchi, che tutto vede, tutto sa, tutto accudisce (la madre no, non ha resistito, è fuggita via, abbandonandolo, a fare la parrucchiera o qualcosa di simile in una città del Sud). Come spesso, come sempre, è uno sguardo diverso, straniero, a rimodulare il nostro, a raddrizzare prospettive usurate dall'asfissia dell'abitudine. Come un'epifania, seguendo Gheorghe su un'altura, il paesaggio dello Yorkshire si rivela a Johnny in tutta la sua brusca, rocciosa bellezza.

L'entrata in scena di Johnny è segnata dalla presenza di fluidi corporali di vario genere: vomito, saliva, sperma, urina, sangue. Espulsione. Rigetto. Le massicce dosi di alcol tracannato fino allo stordimento e il sesso anonimo consumato frettolosamente sono al tempo stesso sfogo selvaggio e meccanismi autopunitivi. Non parla, Johnny, non osserva; mugugna, brontola, guarda di sbieco. Il buon pastore, Gheorghe, venuto da un paese ormai morto abitato solo da donne anziane che piangono i figli andati via, lo addomestica, dosando distanza e avvicinamento, e sottoponendolo con paziente fermezza a una terapia riabilitativa che passa attraverso l’educazione del (con)tatto. La terra di Dio - God’s Own Country è infatti un film di corpi che imparano a toccare e a toccarsi, e così a riconoscersi e a conoscere il mondo (il primo amplesso animalesco nell'erba e nel fango, indistinguibile da una lotta, il secondo nel quale Gheorghe guida i movimenti bruschi di Johnny, li modella e detta i tempi, insegnandogli a baciare), di gesti ricevuti, appresi e riproposti (le dita sfiorate tra i due ragazzi in sala d’attesa, la carezza al padre in ospedale), di forza opportunamente calibrata (le esplorazioni rettali e vaginali degli animali, Gheorghe che sfrega gli agnelli neonati per dargli calore e vigore, salvandoli da morte prematura). Dalla brutalità alla dolcezza: lo scuoiamento a mani nude di un agnellino deceduto permette a un altro, orfano, tramite l'odore del vello col quale viene rivestito, di essere adottato e nutrito. I due ragazzi, dosando nerbo e tenerezza, scoprono e propongono un modello di mascolinità fertile, generativa.

Esordio nel lungometraggio del quarantottenne Francis Lee, attore principalmente televisivo, carico di riconoscimenti internazionali tra i quali il premio per la miglior regia al Sundance Festival del 2017 e quello come miglior film agli ultimi British Independent Film Awards, La terra di dio - God's Own Country è un dramma rurale girato con sguardo sensibile alle opere e i giorni di una working class che fatica nei campi, nel quale l’elemento sentimentale è l’interruttore inceppato e poi funzionante che accende la riscoperta delle radici, di un'emotività sepolta, di una spinta progettuale ignota. Con un occhio - ipotizziamo - alla lezione visiva della conterranea Andrea Arnold (ma linguisticamente meno potente), la regia di Lee, cresciuto in una fattoria come quella del suo film, è all'insegna di un naturalismo attento ai dettagli ambientali, screziato da timide aperture liriche. Se il racconto, dopo un avvio promettente, si adagia su snodi narrativi un po' risaputi (il secondo ictus del padre, il tradimento), la conclusione apre a un ottimismo insolito e insperato. Lee elude le accensioni mélo e le svolte tragiche: la sessualità di Johnny non è mai stata l’ostacolo principale alla sua realizzazione personale (nel Regno Unito post-Brexit, più che l'omofobia, ad essere allarmante è la xenofobia), la passione non è accecante ma apre gli occhi. In dialogo col paesaggio interiore dei protagonisti, il West Yorkshire, non più no man's land derelitta, rinasce come terra vegliata da un Dio invisibile e pietoso, abitata, accudita e lavorata da uomini che si amano.