Fantascienza, Recensione

IN TIME

Titolo OriginaleIn Time
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2011
Durata109'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

In un futuro imprecisato, l’umanità è programmata per interrompere il processo di invecchiamento a 25 anni, allo scoccare dei quali parte un conto alla rovescia che conduce alla morte se non si lavora/ruba per accaparrarsi tempo.

RECENSIONI

Alfiere di una fantascienza etica, Andrew Niccol, cambiando nella finzione le regole sociali in gioco, si rivolge allo spettatore del presente e tenta di renderlo maggiormente consapevole della realtà in cui vive. In questo film, diretto discendente di Gattaca, prende le mosse da un’idea geniale, una perfetta allegoria dell’economia di mercato e della lotta di classe che avrebbe fatto la gioia della controcultura anni sessanta: infatti non possono non venire in mente le tante pellicole europee (nell’era nouvelle vague, in primis) che, attraverso una messinscena povera, usavano la fantascienza per parlare della contemporaneità (in questo caso la Crisi, rivelando la sua genesi). L’opera fa parte, anche, di un corposo sottogenere distopico che immagina un futuro ordinato e disumano, dove gli ultimi della “catena alimentare” si ribellano. Certo un’idea non fa il film, ma questo racconto fra Philip K. Dick, La Fuga di Logan e Bonnie e Clyde (col motto “Rubare ai ricchi per donare ai poveri”) è sviluppato alla perfezione, sia attraverso dialoghi intrisi di giochi di parole sul tempo (per riflettere sulla sua influenza cultural-linguistica), sia disseminando dettagli che arricchiscono la metafora politica: la superiorità dei poveri che vivono “alla giornata”, senza il limite della paura di morire “per caso” dei (potenziali) immortali; la figura del “guardiano del tempo” di un ottimo Cillian Murphy, classico “poliziotto” che applica la Legge senza interrogarsi sui termini della Giustizia e che rimarrà vittima dello stesso Sistema che difende; la noia dei “ricchi” che vivono in una campana di vetro; lo stesso titolo del film ”in tempo”, perché il tempo è…denaro. I giorni blu mare staccano da notti color arancio.

Niccol si fida sempre troppo delle sue idee e (qui più che altrove) si dimentica il film. In questo In Time, come in Gattaca e S1m0ne (ma anche The Truman Show), parte da un assunto in odore di stereotipo ma riesce - almeno inizialmente - a rendere il tutto digeribile.  'Fantascienza adulta', si diceva una volta. Il film (neanche tanto) vagamente a tema che però ben dispone grazie a una classicità orwelliana/bradburyana senza tempo. Solo che poi c'è da portare avanti un film intero e lì le cose si complicano. La voce over di Timberlake, in apertura, a dire il vero solleva già le prime perplessità: didascalia introduttiva che in una manciata di secondi chiarisce le regole del gioco con un concentrato informativo troppo scoperto. E un immediato prosieguo che sbobina la lezione iniziale corredandola di qualche esempio pratico. Ma pazienza. La narrazione, bene o male, è innescata e non è poi così difficile farsi sedurre. Almeno per un po'. Poi Niccol comincia a fare confusione. Tiene i piedi in troppe staffe (fantascienza distopica, azione, thriller, love story) e comincia a girare semplicemente a vuoto.

Torna a più riprese sugli stessi concetti, ripropone/ribadisce medesimi passaggi e situazioni 'significanti' e si dimentica di perfezionare a dovere molti nessi causa-effetto. E così va a finire che i due piani fruitivi del film si sfilacciano entrambi e non riescono più a sorreggersi a vicenda né a mantenere un'autosufficienza parallela. L’uno, quello iperbolico/metaforico, perde rapidamente appeal, perché il binomio tempo/denaro, con annesso apologo anticapitalista, denuncia tutto il suo ripetitivo semplicismo. L'altro, meramente intrattenitivo, non è sorretto da una regia veramente a suo agio in contesti prettamente dinamici (inseguimenti, sparatorie) e quando tenta la carta della singola sequenza a effetto, riesce di rado (il 'braccio d'acciao'), solo parzialmente (il drammatico incontro 'fatale' con la mamma-coetanea, dalla tempistica decisamente forzata) o mina le fondamenta della solidità di scrittura con esagerazioni fuori contesto (l'all in 'definitivo' a Texas Hol'em, difficile da giustificare senza declassare la solidità psicologica del personaggio). Per non parlare delle derive narrative di dubbia coerenza interna (l'improvvisa trasformazione della coppia Timberlake/Seyfried in Bonnie&Clyde versione Robin Hood, intenti a rapinare banche con una facilità irrisoria e per finalità che andrebbero verificate a dovere sul piano banalmente logico). Ovviamente, tutto al netto della fotografia di Roger Deakins, che fa la sua solita, porca figura e garantisce un minimo sindacale di 'eleganza' per tutta la durata del film. In Time è insomma un altro organico capitolo della filmografia di Niccol, finanche riconoscibile in senso autoriale; ma anche esemplare dei limiti di un regista/sceneggiatore incapace di evadere dai rigidi e seriosi confini tematici che caratterizzano tutti i tasselli della sua filmografia.