TRAMA
La vita dello scienziato Robert Oppenheimer, da quando era studente in Europa a quando, in America, gli viene affidata la direzione del progetto Manhattan fino al dopoguerra, quando diviene vittima del maccartismo per le sue simpatie comuniste.
Vincitore di sette premi Oscar: film, regia, attore protagonista, attore non protagonista (Robert Downey Jr.), fotografia, montaggio, musiche.
RECENSIONI
Dieci anni fa, a proposito di Interstellar, chiudevo la recensione con queste parole: «La sensazione, in definitiva, è quella che il film esista contemporaneamente negli stati di Capolavoro e Boiata. Interstellar è, cioè, un film quantistico: il gatto di Schrödinger del cinema di Nolan». Scherzavo un po’, cioè, sulla passione per la fisica sviluppata dal regista – di fatto, il film era un tentativo di rendere organici alla narrazione una quantità inusitata di concetti di fisica – e sul suo girare film multi(bi?)formi, sospesi spesso tra le vette del filmone e gli abissi del filmaccio. A pensarci bene, la fisica in Nolan inizia a fare capolino già in Inception (anche la trottola è schrödingerianamente felina: cade e non cade contemporaneamente), irrompe prepotentemente in Interstellar e si mangia letteralmente Tenet (l’idea dell’entropia invertita e sua cinematografizzazione è un splendido passo più lungo della gamba).
Piccola parentesi su Tenet: è forse uno dei suoi film meno riusciti, se si parla di puro piacere della visione, ma anche il più rappresentativo. Quello cioè che enuclea la sua idea di cinema e ce la presenta, per così dire, in purezza: sviluppare un'idea (vagamente astrusa e/o comunque "sfidante") e cercare le modalità cinematografiche più adatte a realizzarla. In Memento, ad esempio (ma ci torneremo), era il montaggio che faceva convergere e collidere due ordini temporali inversi, in Tenet c’è la coesistenza addirittura nella stessa inquadratura di due ordini temporali. Una scelta folle e rischiosa, che infatti, a guardarla lascia un po' interdetti. Ma anche ammirati. Perché se Nolan riuscirà a ricavarsi uno spazio, nella Storia del Cinema, sarà a mio avviso per questa sua declinazione estrema dello specifico nolaniano. Non per film più tradizionali, nolanianizzati un po’ forzatamente/gratuitamente, alla Dunkirk o, e veniamo finalmente al punto, Oppenheimer.
Film ambizioso, che è / vorrebbe essere tante cose ma finisce per essere poco e niente veramente fino in fondo. Semplificando meglio, Oppenheimer è/vorrebbe essere fondamentalmente due cose (apparentemente) complesse:
1) un’opera pienamente riconoscibile come nolaniana ma applicata al poco nolaniano biopic;
2) un biopic problematico e obliquo, che mira a elevarsi sopra il canone agiografico hollywoodiano.
Dal punto di vista numero 1), Nolan sembra aver fretta di metterci del suo. Esplicita da subito che Oppenheimer è un capitolo organico al suo percorso fisico, oltre che per il tema, titolando le diverse linee temporali con i termini di Fissione e Fusione. Almeno apparentemente, ma in realtà creando un po’ di con-fusione/fissione, perché solo col senno di poi si può forse capire che il capitolo Fissione (quello a colori) è la gioventù soggettiva di Oppenheimer, con Nolan che cerca di entrare nella sua testa e di cinematografare/mostrare (male) il suo pensiero particellare e quantistico, mentre la Fusione (successiva alla Fissione anche dal punto di vista storico/cronologico/fisico) si riferisce al racconto più oggettivo dei fatti, quello dell’interrogatorio e del processo (perché di fatto le linee temporali sono 3, anche se le tarature cromatiche e i titoli sono 2, altro elemento leggermente destabilizzante). Ma questo col senno di poi. E magari – meglio ancora - leggendo le interviste nelle quali Nolan dichiara, come riportato da Wired, che «le scene a colori sono soggettive, quelle in bianco e nero sono oggettive. Ho scritto le scene a colori in prima persona (…) Ho scritto la sceneggiatura in prima persona, cosa che non avevo mai fatto prima, non so se qualcuno l'abbia mai fatto, o se sia qualcosa che la gente fa o non fa... Il film è quindi sia oggettivo che soggettivo». Perché quello che traspare con maggiore chiarezza ed evidenza è il già citato tentativo di Nolan di marc(hi)are autorialmente un film poco nolaniano, sì, ma in modo un po’ gratuito, smontando di nuovo l’ordine cronologico senza che se ne avvertisse la necessità, riprendendo la dicotomia colore / bianco e nero di Memento, creando l’atmosfera da film evento coestensiva al film, delegando alle musiche intrusive gran parte della costruzione del pathos e tentando qualche colpo audiovisivo che a volte riesce, a volte (più spesso) no.
Perché venendo al punto 2), ossia a Oppenheimer come biopic problematico e obliquo, che mira a elevarsi sopra il canone agiografico hollywoodiano, anche la problematizzazione della materia avviene in modo abbastanza approssimativo. Si delega molta dell’ambiguità del personaggio alla mimica un po’ enigmatica del pur bravo Cillian Murphy ma quando Nolan cerca di esplicitare davvero i rovelli etico/morali dell’uomo di scienza, non va oltre delle didascalie molto schematiche che accarezzano i territori del kitsch: la sequenza in cui vede la platea gaudente che lo applaude finire, nella sua mente, vittima di un’esplosione nucleare è un momento quasi imbarazzante, sia dal punto di vista contenutistico che visivo/formale. E non è l’unico. Perché Oppenheimer è un film quasi interamente basato sui dialoghi, formalmente molto composto, ma quando tenta la carta della trovata visiva – e Nolan si è sempre (di)mostrato molto altalenante anche da quel punto di vista – di rado risulta veramente efficace. La sequenza del Trinity Test può dirsi riuscita (anche e soprattutto grazie al lavoro sul sonoro, però, e sono in generale il sound design e – come sempre - le musiche le componenti insieme più intrusive e/ma efficaci del film) ma ad esempio, quelle già citate in cui si cerca di visualizzare i pensieri subatomici dello scienziato, sono un po’ come il libeccio: lasciano il tempo che trovano.
Chiudendo con una soggettiva, e ribadendo un concetto in parte già espresso: non credo davvero che sia questo il vero Nolan. Più correttamente: è forse il Nolan che ottiene e otterrà lo universal acclaim ma non quello che merita di essere definito un autore (sempre che la definizione, qui e ora, abbia ancora un senso univoco e condiviso). L’Autore Nolan, semplificando molto ma non troppo, è quello che sviluppa un'idea /soggetto/sfida e cerca le modalità specificatamente cinematografiche più adatte a realizzare quest’idea/ soggetto/sfida. Per fare degli esempi: in apertura si diceva di Memento, in cui c’era il montaggio di due ordini temporali convergenti destinati a collidere, in Tenet c’era la coesistenza addirittura nella stessa inquadratura d(e)i due ordini temporali (entropici), con utilizzo inedito della convivenza tra proiezione tradizionale e in reverse, in Inception c’era – di nuovo – il montaggio e il buon vecchio ralenti utilizzato non a fini gratuito-spettacolari ma diegetici (restituire le diverse velocità di scorrimento temporale nei vari livelli onirici). L’Autore Nolan è quello che inventa congegni narrativi e spiega agli spettatori come funzionano, trascinandoli quasi nel processo creativo. E dell’Autore Nolan, in Dunkirk prima e in Oppenheimer adesso, c’è obiettivamente poco. E il poco che c’è potrebbe (dovrebbe?) anche non esserci. Per converso, l’Autore Nolan non è un grande sceneggiatore. Di fatto, direi che è più un grande soggettista incapace poi di scrivere personaggi e dialoghi credibili e/o profondi. Il che va benissimo quando il film è un congegno e i personaggi sono ingranaggi (cfr. Tenet, in cui il protagonista si chiama Il Protagonista) ma va assai meno bene in un film parlato di 180 minuti, in cui le persone/personaggi e i dialoghi (sentenzioso/epigrafici più che profondi) sono quasi tutto. E l’autore Nolan non è neanche un grande talento (puramente) registico: non sempre è a suo agio con l’azione pura e solo sporadicamente ha idee visive davvero suggestive e ben cinematografate (le città/libro/labirinto di Inception, il pianeta pantalassico di Interstellar…). E un film statico come Oppenheimer avrebbe avuto bisogno di un altro polso per dare vera consistenza ed efficacia alle aperture purovisibiliste.
Oppenheimer è, insomma, un brutto film? Non esattamente. Parafrasando James Gordon, si potrebbe concludere dicendo che Oppenheimer è il Nolan che il grande pubblico e l’Industria Cinema merita(no) ma non quello di cui la Storia Del Cinema ha bisogno.