TRAMA
Un uomo sfortunato assiste impotente alla tragica morte del figlioletto, colpito da un proiettile vagante proprio durante il periodo natalizio. Nel disperato tentativo di inseguire i responsabili, viene ferito gravemente alla gola, perdendo la capacità di parlare. Un anno dopo torna con nuova forza e sete di vendetta, pronto a confrontarsi con coloro che gli hanno strappato via tutto.
RECENSIONI
A volte dopo aver visto un film, specie nei favolosi anni 2020, capita di aprire Letterboxd (sono le neo-prassi cinematiche, bellezza!) per saggiare l’opinione popolare; quando l’ho fatto con Silent Night e mi sono imbattuto nel commento-recensione di tal “BeHaind” ho provato un misto di ammirazione (quanto acume! Che mirabile gusto per il calembour!) e invida (avrei voluto pensarci io!): John Wish. Raramente mi è capitato di leggere una recensione critica che nell’ermetismo laconico di due parole (e 8 caratteri spazi esclusi in tutto) fosse al contempo tanto puntuta, tagliente, amorevolmente sardonica, intertestualmente e filologicamente gustosa; non perché non esiste l’action movie prima di John Wick, come la carriera stessa di John Woo brillantemente dimostra, ma perché sicuramente il film di Stahelski segna una cesura peculiare, che destina operazioni come Silent Night a rivelarsi obsolescenti ancora prima di essere viste. Insomma, chapeau a tal "BeHaind" e alla sua geniale chiosa, che basta a se stessa. E allora io che ci sto a fare qui? Non lo so, leggetemi se volete come l’apostrofo rosa fra le parole John e Wish.
Il fatto è che Silent Night, per evitare di essere troppo bruschi, va forse inquadrato più per il contesto che non per il testo. Cioè, se lo leggi solo come un revenge movie fra i tanti, che è un po’ come ci si presenta in effetti, allora dirai che è un revenge movie fra i tanti. E lì ti potrai sbizzarrire a trovare questo o quel nesso, dando al protagonista quando l’appellativo di atomico biondo (specie nella sequenza sulla scala), quando di Liam Neeson à la Io vi troverò, ma dei poveri. Potrai pure divertirti, perché in fondo il filone della giustizia privata (già, proprio come per il film di Gary Gray, l’anagrammatico regista di Giustizia privata!) è sempre spassoso nel suo rappresentare il guilty pleasure per eccellenza di un progetto di cinema compatibile con la più cafona forma di tamarrìa. Se però cerchi il nuovo che avanza, al di là della storia di quell’uomo che merita la sua vendetta, e noi meritiamo di morire, ecco che allora forse puoi guardare anche altrove.
C’è però, dicevamo, il contesto, che possiamo sintetizzare così: John Woo. Vale infatti la pena di ricordare che l’action paranatalizio ne segna il ritorno, un po’ in sordina, a Hollywood, dopo 20 anni da Paycheck, 23 dal più brutto dei Mission: Impossible (Mission: Impossible II), e oltre 25 dal cultissimo e sublime Face/Off.
Film, questi ultimi, contraddistinti – al di là del giudizio di valore – da quella succosa estetica hongkonghese tradotta agli occhi occidentali come una sorta di esotismo formale un po’ kitsch che fa di Woo, checché se ne dica, un autore comunque interessante. Solo che in Silent Night, ecco, alle volte si sfora un po’ nel meccanico (gli zoom e i vortici registici visibili forse fin troppo) se non, rovinosamente, nel trash (il papà che, compiuta la sua missione suicida, rivede il figlio defunto nelle palline dell’albero di Natale [sic]). Il tutto in un film quasi-muto (per diegesi: il protagonista è ammutolito dal colpo di pistola iniziale dritto sulle corde vocali), “guardabile”, appena sufficiente per affetto, ma in cui in generale si ravvisa una mancanza di magnetismo, anche e soprattutto nell’annichilito protagonista. Che forse non sia questo il punto? L’insensatezza della violenza, che divora se stessa, spegnendo ogni barlume di speranza e di pneuma vitale? Se così è, però, allora forse è un po’ pochino.
E quindi, alla fine della fiera, tutto torna all’icastica, invidiabile stoccata di tal “BeHaind”: John Wish (e buonanotte al secchio).