Drammatico, Recensione

IL SAPORE DELLA CILIEGIA

Titolo OriginaleTa'm e guilass
NazioneIran
Anno Produzione1997
Durata95'

TRAMA

Un uomo vaga per la città in automobile, in cerca di qualcuno disposto, dietro compenso, ad aiutarlo a compiere un suicidio. Fa salire un giovane ed un timido soldato.

RECENSIONI

L’opera di Kiarostami che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes e lo ha, se ce n’era ancora bisogno, definitivamente incoronato come “autore del momento” agli occhi del mondo occidentale è, paradossalmente, più debole delle precedenti. Promettente l’inizio, dove lo sguardo del regista scandaglia, nelle sue vesti più umili, la metropoli, con lo stesso metodo di E la Vita Continua, tanto disarmante nella sua semplicità, quanto, in modo inimmaginabile, efficace: attraverso i finestrini di un’automobile in movimento. C’è sempre qualcosa di magico nelle pellicole di Kiarostami: la sua “filantropa” macchina da presa si pone verso il “mondo” in un modo, con un’energia, che fa sì che siano i “soggetti” a scegliere il regista, e non viceversa. Destino. Homayon Ershadi, con l’aspetto depresso che veste bene l’aspirante suicida, interroga i passanti, e si pregusta un altro sopraffino saggio teorico/pratico di documentario mascherato con la finzione (e viceversa): aspettative deluse nel momento in cui Kiarostami preferisce lasciarsi trasportare dalla materia esistenziale trattata, si concentra sul dramma dell’individuo in cerca di Morte e dirada sempre più gli incontri on-the-road, inciampando, infine, nella smania didascalica, inneggiando alla bellezza della vita, dei tramonti, dell’amore di Dio, del sapore della ciliegia. Una smania che, con la sua retorica che dimentica il dilemma, intacca l’intensità drammaturgica, denudando uno schema da parabola che rende tediosi, ad esempio, l’incontro con il soldato e con il seminarista (le cui recitazioni/interviste spontanee si perdono nel doppiaggio), nel momento in cui si intuisce che l’insistenza del suicida sarà disattesa. Mentre la cinepresa sta (troppo) addosso al protagonista, il grande cinema dell’iraniano resta avvinghiato in quella che è l’arma a doppio taglio della sua semplicità, trasformandosi in ovvietà (con l’aggravante di una vicenda poco credibile). Con un cospicuo, più che mai, uso di voci e suoni off, l’impronta Kiarostami è ovunque nelle sempre magistrali geometrie spaziali, fra campi lunghi, tornanti attraverso le colline, paesaggi “espressivi” (le “depresse” cave di sabbia): come il protagonista, rivediamo la luce del “Sole” verso la fine del cammino vitale/filmico (ovvero le strade, dove l’automobile è il “corpo”), quando avviene l’incontro con il simpatico custode del museo (amabili i suoi tentativi di dissuadere l’uomo dal gesto disperato) e i tocchi di classe allegorici di Kiarostami risorgono (il gioco di ombre poco prima, la metafora della “strada” ora in discesa, “guidata” da un altro punto di vista, con vegetazione più rigogliosa). Ma il banale sapore della ciliegia permane. Finale sospeso ma con indizi di “guarigione” che hanno già chiuso il discorso; aggiunte da meta-cinema (brani video sul “set”, commentati dalle note di Louis Armstrong) che, più che dimostrare che “La vita continua”, paiono un dovuto marchio di fabbrica.