Bellico, Recensione

IL NEMICO ALLE PORTE

Titolo OriginaleEnemy at the Gates
NazioneU.S.A./Gran Bretagna/Germania/Irlanda
Anno Produzione2000
Genere
Durata130’

TRAMA

Durante l’assedio di Stalingrado (1942–43), un cecchino tedesco ed uno sovietico aprono le danze di un duello. Quello sovietico è trasformato in eroe dall’amico commissario politico, per dare coraggio alle truppe prossime alla disfatta: entrambi sono innamorati di un’ebrea che preferisce la prima linea al più tranquillo lavoro di traduttrice.

RECENSIONI

 

Sergio Leone aveva accarezzato a lungo il progetto di girare un film sull’assedio di Stalingrado. Annaud ha dichiarato di essere stato designato direttamente da lui per portarlo a compimento: l’autore francese possiede decisamente un buon senso figurativo nella messinscena, alcune intuizioni della sua sceneggiatura sono rimarchevoli ma, del regista italiano, non ha certo lo stesso piglio epico per i duelli e la stessa capacità di trasformare i personaggi in simboli compositi. Amante del formato “kolossal” e abbonato alle co-produzioni internazionali (troppi compromessi…), avrebbe fatto meglio a dedicarsi meno alle scene di massa, alle ragioni gratuite dello spettacolo e ad una traccia amorosa più dovuta, retorica (l’ebrea…), ridicola (la gelosia del commissario) che necessaria, per concentrarsi maggiormente sul tenzone, foriero di tensione e rimandi allegorici, e sul substrato ideologico, nel momento in cui sono sollevati temi interessanti (la poco feconda retorica comunista dell’eroe, la causa maggiore a discapito degli ideali del singolo, l’odio che chiama l’odio, la propaganda usata a fini personali, l’utopia dell’uomo nuovo sovietico: ci sarà sempre qualcosa da invidiare…) trattati in modo grossolano e fazioso, con Annaud che utilizza molti stilemi “propagandistici” delle due ideologie totalitarie che addita, fra magniloquenza nell’inquadramento storico e matrice edificante in campo politico (tutto sottolineato dall’ingombrante commento sonoro di James Horner). Troppe ambizioni per siffatta drammaturgia puerile (la stessa di Sette Anni in Tibet) ma vale la pena citare i passaggi che, al contrario, sono resi al meglio e certe premesse eccitanti: il cecchino russo (figura realmente esistita) allevato dal nonno ad essere pietra fin da bambino (“Non mi muovo”), la parabola del lupo e dell’asino (l’asino campa di più perché utile), lo scontro fra due gentiluomini (o quasi) alla I Duellanti, la lotta di classe (con l’entrata in scena dell’ottimo Ed Harris), le appassionanti strategie degli scontri (la scena del telefonista, con il compagno del pastore sovietico falciato a mezz’aria; quella dei vetri riflettenti; quella del finto morto e dello sciacallo), l’erotismo (passionale la scena in cui il pastore e l’ebrea fanno l’amore in mezzo ai dormienti).