Fantascienza, Recensione

DIVERGENT

TRAMA

Chicago del futuro: i nuovi fondatori hanno diviso gli abitanti in fazioni attitudinali. Beatrice scopre di essere una “divergente”, temuta dal sistema perché non inquadrabile. Fa di tutto per diventare “un’intrepida”, nonostante il duro addestramento militare.

RECENSIONI

Le scelte di mercato di Hollywood prescindono dalla qualità delle fonti: visto il successo di Hunger Games, viene adattata la simile saga di Veronica Roth (futuro distopico, rituali, iniziazioni violente dei giovani, simulazioni/e-non di violenza, facili simbolismi su classi sociali e homo faber), il cui primo romanzo venne dato alle stampe quando la scrittrice aveva vent’anni, prefigurando protagonisti sedicenni (non ventenni come qui) e ispirandosi, fra l’altro, alla teoria dell’esposizione in psicologia, che sottopone pazienti con fobie alle proprie paure in ambiente protetto. Di originale poco e niente: i nuovi fondatori, in nome dell’Ordine, dividono la società in caste eleggibili, annullando l’iniziativa individuale e, soprattutto, rendendo tutti controllabili. L’idea non è nemmeno sviluppata secondo le sue direttrici morali perché, ad un certo punto, si preferisce dare corpo ad un “nemico” che trasgredisce le stesse regole che ha imposto e manipola il prossimo per interessi personali. Per fortuna, la sceneggiatura di Evan Daugherty e Vanessa Taylor è (almeno) all’altezza della saga con Jennifer Lawrence, sa raccontare per dettagli e punta sulle personalità e i sentimenti, più che su azioni ed effetti speciali. Ma, appunto, non c’è Jennifer Lawrence: per quanto brava, Shailene Woodley non sarà mai all’altezza (funziona bene, invece, Theo James). I tatuaggi s’ispirano all’arte costruttivista astratta russa anni venti del XX secolo. Seguiti confermati.