TRAMA
Tommaso, artista statunitense trasferitosi a Roma, conduce una vita serena con la moglie e la figlia di tre anni. Piccoli dubbi e un passato turbolento, però, sembrano spingere l’uomo a una continua ricerca di un sé migliore.
RECENSIONI
Con ogni probabilità, Tommaso inaugura una nuova e definitiva (e testamentaria?) fase nell'elettrico percorso artistico di Abel Ferrara. Riducendo infatti all'osso la sovrastruttura narrativa e abbandonando in modo così plateale qualsiasi filtro che vada oltre la sfacciata evidenza dell'alter ego Willem Dafoe (moglie e figlia di Tommaso sono interpretate dalla moglie e dalla figlia di Ferrara, la casa in cui è girato il film è la vera casa di Ferrara a Piazza Vittorio…), il regista newyorkese si ripiega su se stesso come mai prima d'ora e gira quella che, a conti fatti, ha tutte le sembianze di una confessione a cuore aperto. Un'ultima cena, forse, un parco di Roma che pare il Getsemani: in una delle tante sequenze onirico-allucinatorie che punteggiano il racconto, Tommaso si toglie il cuore ancora pulsante dal petto e lo consegna ai suoi discepoli, immigrati in terra straniera, proprio come lui. «Take this. It's all I have»: un gesto che svela in tutta la sua evidenza il sentimento che soggiace alla realizzazione del film e che ben si presta a definire tutta l'ultima, caotica e frenetica fase del cinema di Ferrara.
Il cinema come sguardo su se stesso e quindi sul mondo: dal 2017 in poi, la produzione di Abel Ferrara si è scomposta in frammenti senza fissa dimora, immagini che appartengono effettivamente al titolo in cui sono ingabbiate, ma che allo stesso tempo rimandano sempre ad altri territori o ritornano in altre forme, in altre peregrinazioni; un cortocircuito che si accartoccia su se stesso fino ad implodere. Tommaso è un film su un regista americano che vive a Roma, in Piazza Vittorio, e che tra una lezione di italiano e una seduta degli alcolisti anonimi, sta lavorando ad un film del quale vediamo qualche immagine da uno storyboard che, qualche mese più tardi, scopriremo appartenere a Siberia, altro pellegrinaggio errante, libero e profondamente egoriferito. E ancora, Siberia è un film da cui Ferrara voleva trarne un altro, un sorta di reportage sulla sua lavorazione e sulla sua presentazione alla Berlinale, e che tuttavia, a causa della pandemia, si è trasformato in qualcosa di diverso, diventando Sportin' Life, una jazz session riflessiva in cui le immagini di un presente anomalo e tragicamente reale come quello vissuto durante il lockdown si (con)fondono con le immagini del presente prima del Covid-19, con le immagini di Siberia, con immagini appartenenti ad altri titoli della sua filmografia. Insomma, le inquietudini esistenziali e metropolitane che da sempre accompagnano i tormentati personaggi del suo mondo, ora come non mai si ritrovano perfino nella forma, nella libertà di una produzione che mira sempre più ad erodere i confini, qualsiasi essi siano. Mi si perdoni la caduta nella poco nobile pratica dell'autocitazione: «Forse mai come in questo periodo, il film secondo Ferrara non è un oggetto dotato di forza autonoma, ma sempre tassello di un percorso in divenire, continua ricerca espressiva e quindi incompiuta per forza di cose, perché in costante dialogo con i frammenti precedenti e sempre tendente ad un oltre che deve ancora essere filmato».
Riflettere su ciò che è diventato il cinema di Abel Ferrara da Tommaso (o da Piazza Vittorio; o da Alive in France; o forse da prima ancora, seppur con una minor costanza) in poi, mi sembra fondamentale per provare ad inquadrare Tommaso. Nel suo peregrinare senza una meta precisa, nel suo osservar-e/si e confessar-e/si attraverso il corpo dell'amico di lunga data e “vicino di casa” Willem Dafoe (con il quale condivide la condizione di statunitense trapiantato a Roma), quella messa in scena dall'autore è una personalissima e umanissima odissea terrena in cui eventi quotidiani più o meno insignificanti si mescolano a sogni e deliri, incubi e desideri inconfessabili. Tommaso è allora una biografia allucinata, un diario di viaggio, un quaderno privato che viene reso pubblico attraverso il linguaggio del cinema; o ancora, un ulteriore tassello verso la ricerca di una qualsiasi forma di redenzione, una Passione secondo Ferrara che si chiude con una crocifissione davanti alla Stazione Termini (Dafoe e L'ultima tentazione di Cristo, ma anche Pasolini: ancora cortocircuiti, ancora immagini incontenibili e candidamente eccentriche), un home movie istintivo, un autoritratto critico e introspettivo, in cui lo stile (camera a mano, fotografia bruciata, soggetti fuori fuoco) non solo è perfettamente funzionale a restituire la spontaneità dell'operazione, ma ne è anche il senso ultimo e irrinunciabile.
Certo è lecito forse, di fronte ad immagini che si autoproclamano come sincere in modo così evidente e assoluto, muovere qualche perplessità. Qui, molto semplicemente, scegliamo di credere. Col cuore in mano.