
TRAMA
Due ex coniugi non sopportano neppure di incontrarsi. Quando però scoprono che la loro unica figlia ha deciso di sposare un ragazzo appena conosciuto e di trasferirsi a Bali decidono di unire le forze per mandare a monte il matrimonio.
RECENSIONI
Ticket to paradise ha, almeno, il merito di riportare alla commedia e al grande pubblico due stelle popolari come Julia Roberts e George Clooney. Entrambi i divi erano distanti da un po’ dal “cinema di cassetta”. Clooney conta negli ultimissimi anni soprattutto il ruolo da protagonista, oltre che regista, nel futuristico The midnight sky, dai risultati controversi, e numerose apparizioni glamour pubblicitarie e non. La Roberts, ancor più defilata di recente, si faceva attendere da quattro anni, dall’uscita di Ben is back e, sul piccolo schermo, della serie Homecoming. Per la reunion dei due amici si gioca facile e non si punta in alto, partendo dal modello della commedia e dal contesto famigliare, nel doppio binario matrimonio in arrivo/matrimonio sfasciato forse da ricomporre. L’ambientazione a Bali rende evidente, anche per questa pellicola, la strategia di apertura ai mercati stranieri. Qui c’è l’Oceania (vista nel Moana Disney) molto protagonista, un paradiso terrestre con ritmi e cultura molto affascinanti. Nel mostrare Bali si indugia sulla bellezza incontaminata dei luoghi, sfiorando i temi ecologici e, sempre in superficie, le tradizioni locali. L’opposto, fin troppo marcato, rispetto alla vita da avvocato in una metropoli Usa.
Ma soprattutto ci sono i due astiosi ex, divorziati ormai da 25 anni, che si esibiscono in battibecchi da screwball comedy (per lo meno nelle ambizioni più alte) ma anche in un continuo rinfacciarsi il passato ed i rispettivi difetti. Sono in perenne competizione, anche per l’affetto della figlia. La difficile tregua giunge obbligata dalla necessità di sabotare il colpo di testa della figlia, cioè l’imminente matrimonio e trasferimento a Bali. Condividono dunque il piano del “cavallo di Troia”, che consiste nel fingersi felici e solidali con la ragazza salvo poi lavorare per la rottura del nuovo legame. Ad unire i due complici anche una spiccata sfiducia nel matrimonio in generale, che li caratterizza come due adulti disincantati ed induriti dal fallimento della loro unione. E questo è il plot, poco, ma se ne poteva pur trarre qualcosa con maggiore impegno.
Clooney è qui meno glamour e meno gigione del solito, è un po’ ruvido e in disarmo, ma anche la Roberts è meno solare rispetto ad altre prove, pure lei spigolosa, ipercritica e risentita. Le due star accettano quindi una parziale demitizzazione a favor di copione e per coerenza anagrafica.
Come contraltare, il nuovo giovane fidanzato (francese) di lei, si rivela già palesemente fuori gioco prima di apparire, nonostante la battuta tagliente di una comparsa “Nel cambio ci ha guadagnato”: Clooney è autoironico, ci viene detto, e il fascino non deriva dalla giovane età, anzi. E poi il ragazzo ama fare sorprese mentre il personaggio della Roberts le odia - e il suo ex lo sa perfettamente perché la conosce -, fine del problema (la trovata non è nuova, i film sono curiosamente pieni di persone che detestano le sorprese).
Lo sviluppo telefonato arriverà, la ex coppia ritrova finalmente complicità nella competizione (contro la coppia giovane) e nel ballo - e qui la figlia, quella che sta mollando tutto d’istinto per amore, appare di fronte a loro di colpo vecchia, inibita e priva di ironia, a sottolineare, oltre al pudore istintivo dei figli per le azioni dei genitori, la disabitudine a vederli affiatati, rilassati, di buon umore. I due riscoprono così all’improvviso, e complice l’alcol, come divertirsi. “Non sei male quando ti sistemi” è la versione ironica ed aged di un complimento da rom-com.
La regia si adegua sempre ad una sceneggiatura estremamente lineare. Rientra nei passaggi obbligati il far ritrovare i due protagonisti insieme ed immemori al risveglio e farli puntualmente cogliere in flagrante dal compagno di lei. L’escamotage per la vera esplosione dei conflitti è, come quasi sempre accade, abbastanza pretestuoso.
La figlia scopre il tentativo di sabotaggio, ma il padre è pronto a prendersi tutta la colpa per lasciar fuori la ex moglie e riscattarsi un po’ in vista del finale. Il futuro sposo intuisce il piano ma si dimostra onesto, ed interessato più di tutto alla felicità della futura moglie.
Come sempre il disvelamento della bugia e dell’inganno è casuale, improvviso ed incrina il rapporto per farlo maturare, stimolando un momento di riflessione. L’orgoglio genitoriale prevale sul resto, soprattutto su quello di avere una figlia brillante avvocato. E poi anche i genitori erano stati scoraggiati da tutti a sposarsi - e con queste premesse il piano “diabolico” non poteva reggere a lungo. L’atmosfera si fa gradualmente più sentimentale, se non propriamente romantica: la ex coppia ricorda i luoghi cari del passato, e ci si può ritenere fortunati del fatto che almeno al riavvicinamento segua una risata, un po’ di imbarazzo e la frase “Ma siamo matti? Non funzionerebbe!”. Del resto lo scarto romantico risulta poco credibile, viste le premesse e la poca convinzione generale dimostrata.
Insomma, è chiaro che il punto forte del film non è l’imprevedibilità. Ci sono punti forti?
I temi portanti – il rapporto tra genitori e figli che crescono e fanno le loro scelte, i rapporti di coppia che naufragano per le difficoltà della vita e lasciano rimpianti e rancori (recuperabili quasi esclusivamente in questo genere di film) – sono sfiorati e nulla più. C’è un tocco di esotismo, una critica implicita allo stile di vita americano delle grandi città e le grandi carriere.
Siamo lontani da Scandalo a Philadelphia e La signora del venerdì. Serviva almeno qualche idea comica, persino nella forma semplice di un riuscito tormentone che attraversasse la pellicola creando familiarità e sorrisi. Ed occorreva montare con più efficacia la tensione verso una possibile riconciliazione. L’equilibrio tra tranelli, leggerezza e sentimenti c’è, ma, pur nell’intreccio basico, avrebbe dovuto far più ridere, mentre ci si deve accontentare del morso del delfino, del morso del serpente e di una testata sul naso.
Allo spettatore che ha scelto il titolo per i nomi degli interpreti resta quel che aveva all’inizio: tanta simpatia, il piacere di ritrovarli, smorzato però dalle aspettative deluse di trovare qualcosa in più.
