TRAMA
Prima stagione: Sotto la spinta del detective Jimmy McNulty, il dipartimento di polizia di Baltimora organizza un’unità operativa speciale per mettere sotto sorveglianza la banda di spacciatori afroamericani gestita dalla famiglia Barksdale.
Seconda stagione: McNultyfinisce nella capitaneria di portoe scopre tredici cadaveri in un container. Intanto Stringer Bell conduce il traffico di droga con Avon Barksdale in prigione.
Terza stagione: L’unità speciale cerca le prove per incastrare Stringer Bell che ha iniziato a investire in progetti finanziari “puliti”. Un maggiore della polizia ha l’idea di ripulire la città “donando” ai criminali una zona franca dove spacciare.
Quarta stagione: Marlo controlla sempre più il traffico di droga nella Baltimora ovest, compiendo efferati omicidi e nascondendo i corpi. Il sistema scolastico non ha gli strumenti per togliere i ragazzi dalla strada e dalla malavita. Carcetti, candidato sindaco, vorrebbe cambiare le cose ed estirpare inefficienza e corruzione.
Quinta stagione: Omar fa la guerra a Marlo che, intanto, agisce indisturbato con la polizia che non ha fondi per indagare sui suoi omicidi. McNulty li raccoglie inventandosi che c’è un serial killer in città, passando la notizia ai cronisti del Sun.
RECENSIONI
Cos’è
Il serial preferito di Obama, osannato più dalle critiche (per molti il migliore di tutti i tempi) che dagli ascolti (cause probabili: intrecci troppo complessi, cast in gran parte afro-americano, violenza verbale e non), vive di un magistrale approccio corale, di un realismo, feroce e cinico, che ha pochi pari nel genere poliziesco (viene in mente solo Colors di Dennis Hopper), di uno scavo psicologico che lo avvicina all’alta letteratura (tragedia shakespeariana compresa). Miracolo dell’esperienza diretta: il creatore David Simon era un cronista del Baltimore Sun (e si specializzò sul traffico di droga), mentre Ed Burns ha alle spalle vent’anni nel Dipartimento di Polizia della stessa città (detective della Omicidi), alcuni dei quali passati proprio ad investigare, con la tecnologia di sorveglianza, un gruppo di sanguinari trafficanti di droga. Nato come costola del serial Homicide (1993-1999: sempre ambientato a Baltimora), in esso i due autori denunciano un microcosmo (esportabile ovunque) che li ha frustrati, fra burocrazia del Dipartimento di Polizia e inefficienza di tutto l’apparato pubblico. Non solo i personaggi sono spesso ispirati a figure esistenti (due esempi: Avon Barksdale modellato sul boss della droga Melvin Williams, arrestato proprio da Burns; l’informatore ‘Bubbles’), ma sono stati coinvolti nelle riprese anche figure di spicco della città, veri poliziotti e delinquenti. Rispetto a Homicide, da cui eredita molti sceneggiatori, Simon ha avuto più libertà d’azione (la NBC lamentava i toni pessimistici dei suoi copioni) grazie alla benemerita HBO, che nel 2000 gli aveva già prodotto la miniserie The Corner.
Le 5 Stagioni (2002-2008)
Con una formula che Simon replicherà nel successivo Treme, sulla ricostruzione della New Orleans post-Katrina, The Wire impressiona favorevolmente fin dalla prima stagione nel suo raccontarsi in “orizzontale”, dedicandosi ad un’unica indagine, in tredici episodi non autoconclusivi. Un approccio che permette di sondare gli “off”, gli ingredienti “tra le righe” che, per convenzione e per esigenze temporali, tutte le serie (e i film al cinema) di solito omettono. Si raggiungono, infatti, risultati straordinari nei ritratti psicologici complessi, nell’indagine (anche) umana, nella raffigurazione di una realtà stratificata, restituita anche da una drammaturgia fatta di paralleli, incastri, infiniti rivoli secondari. Partendo dalla “semplice” indagine poliziesca, gli autori allargano il campo socio-politico d’ascolto denudando, via via (ad ogni puntata, ad ogni stagione) gli ingranaggi corrotti o, più semplicemente, lassisti delle istituzioni, fra ignoranza, raccomandati e compromessi politici. A volte, si ha proprio la sensazione che riescano a cogliere il “senso della vita”, nel modo in cui mettono in scena, con uno Sguardo dal Cielo (una profondità della visuale scevra da pregiudizi e schemi mentali), Ordine e Caos, Male e Bene, rinvenendo malvagi e figure d’onore in entrambe le fazioni in campo, capace di ricomprendere in un carattere l’azione più esecrabile e il moto generoso più inatteso, perché spesso la criminalità è solo il risultato dell’ambiente circostante (si conosce solo la vita di strada) o, comunque, non va stigmatizzata troppo quando la controparte non fa da controcanto esemplare (frequente il parallelo fra le gerarchie di potere dei criminali e quelle, con compromessi e ricatti, delle istituzioni) e l’eroe di turno rivela grettezza di comportamento o ambiguità opportunistiche.
Bene o male, ognuna delle cinque stagioni si concentra su un differente aspetto “problematico” della città di Baltimora: il crimine, i sindacati, l’amministrazione politica, il sistema educativo, il ruolo dei media. Ma sono uniche le matrici del marcio nella città (nella democrazia), un assunto allegoricamente sottolineato dall’utilizzo dello stesso motivo musicale nei titoli di testa ("Way down in the hole" di Tom Waits), declinato in diverse interpretazioni a seconda della stagione. Se nella prima vediamo che le leggi perdono di vista la realtà, la seconda stagione “Riflette sulla morte del lavoro e sul tradimento della classe lavoratrice americana (…). Il capitalismo senza controllo non è un sostituto delle politiche sociali; da solo, senza impatto sociale, il capitalismo selvaggio è destinato a servire i pochi ai danni dei molti” (Simon). Nella terza stagione si alza ancor di più il tiro, mostrandocome i criminali, ad un certo punto, ambiscano a togliersi dalla portata della polizia investendo in affari legali, in un ambiente già pieno di squali come/peggiori di loro. Inoltre, si “Riflette sulla natura delle riforme e dei riformatori e se sia possibile che i processi politici, da tempo calcificati, possano mai attenuare l’impatto delle forze comunemente schierate contro gli individui.” (Simon). L’idea di una Amsterdam dove la droga e la prostituzione circolano libere, la dice poi lunga sull’idea che gli autori hanno del Proibizionismo o almeno dell’efficacia delle forze di polizia nella lotta ai proventi della criminalità, che rischia di trasformarsi solo in una guerra contro le classi più deboli. Nella quarta, che ha visto la luce quasi per miracolo (a due anni di distanza dalla terza, e a rischio di cancellazione) si entra nel mondo dell’Educazione, con cognizione di causa, dato che Ed Burns fece l’insegnante nella scuola pubblica dopo essersi ritirato dalla polizia. La panoramica s’allarga all’intero ambiente che accoglie, durante le 24 ore, gli adolescenti potenziali delinquenti, che hanno come unico modello di crescita il fratello o il padre spacciatore. Nella quinta stagione, fra un neo-sindaco dai buoni propositi logorato dal potere, il riciclaggio dei corrotti detronizzati e i criminali che restano impuniti, gli autori, con una mossa geniale, cercano la rivalsa dei cavalieri della Giustizia nella farsa di un serial killer inesistente, da un lato per denudare l’ipocrisia e il totale disancoramento dalla realtà degli apparati istituzionali e dei media, motivati solo dall’apparenza-scoop, dall’altro per affermare definitivamente che solo ingannandolo, il Sistema può funzionare. Indirettamente, si parla anche dei senzatetto, di quanto il Sistema li ignori non essendo soggetti attivi di tasse, voti o associazioni di categoria.
Crew
Fra i registi delle varie puntate, il mulatto Clark Johnson di Homicide ha dato le coordinate figurative, dirigendo il pilot e il finale (più altri 4 episodi) con un controllo e un indirizzo dell’impianto corale che ha del prodigioso. Gli altri registi (più) regolari sono Joe Chappelle, Dan Attias, Ed Bianchi e Steve Shill. Fra gli “eccellenti” ci sono MilkoManchevski (ottima prova con l’episodio “La caccia” nel 2002), Brad Anderson (2 eccellenti episodi) e Agnieska Holland (3 episodi), poi promossa a dirigere il pilot di Treme.
Gran parte degli script sono opera di David Simon, ma hanno dato il loro contributo anche parecchi profughi del serial Homicide, eccellenze quali Richard Price (5 episodi), che ha apportato il suo tocco alla Clockers, il filmmaker indipendente di Baltimora Joy Lusco e il giornalista William F. Zorzi. Tutti hanno rinvenuto il realismo ispirandosi a figure reali o realmente conosciute, prestando anche grande attenzione nella riproduzione dello slang.
Concludendo
Da un lato un’inchiesta esaustiva e ricca di dettagli, sistemica sul funzionamento sia della criminalità che delle istituzioni, dall’altra una descrizione lucida e a tutto tondo dei rapporti che si instaurano fra un gruppo di personaggi affidati ad interpreti eccellenti (scelti il più possibile fra facce poco note, favorendo un campione d’umanità “vero”, non fotogenico), senza che nessuno di questi fosse troppo in primo piano rispetto agli altri: durante il susseguirsi delle stagioni, infatti, gli autori hanno spesso fatto morire o relegato in un angolo eroi e antieroi delle puntate precedenti, magari per favorirne altri, prima secondari. Il paradosso, ben evidente sin dalla prima stagione, è che il pool investigativo di The wire subisce le più grosse difficoltà nelle indagini non dalla scaltrezza degli spacciatori ma dall’interno, ostacolato da fattori comuni e all’apparenza insignificanti come il collega inetto (magari imposto dall’alto per boicottare l’operazione) e le varie pastoie burocratiche. La macchina della giustizia non funziona per mancanza di mezzi, per i vertici che semplicemente non amano essere scavalcati nelle gerarchie, per ragioni politiche di immagine, per piccole e bieche vendette personali (solo nelle stagioni successive le colpe saranno più gravi: corruzione, concussione, statistiche falsate).
Simon & co., in fondo, ma con molta (ri)elaborazione, non fanno che mettere in campo il topos tutto americano dell’individuo idealista (o egoico) contro tutti, alleati compresi, e di una controparte talmente invischiata in inganni e sangue da possedere l’epica della malvagità pura. Da un lato, i nemici pubblici n°1 come Barksdale, Stinger Bell, Marlo (e i suoi pittoreschi bracci armati: Chris e Snoop), capaci di assassinii agghiaccianti, in mezzo avvocati/poliziotti/politici senza alcuna morale, dall’altro lato “eroi” come l’impulsivo detective McNulty, lo scaltro “intercettatore” Lester Freamon, il delinquente solitario Omar, il maggiore Colwin, l’editoredel Sun (Gus). È questa la parte “spettacolare”, “romantica”, non propriamente realistica della serie, quella che esalta lo spettatore, per quanto sia esposta senza scorciatoie favolistiche, lasciando quasi sempre l’amaro in bocca (sul campo restano più vinti che vincitori), senza facili demonizzazioni o idealizzazioni, rendendo tutto più contingente, spesso affidato alla “casualità” che merita di essere raccontata. Il realismo è, infatti, dato anche dal fatto che i “villain” non sono mai del tutto tali e che gli eroi, pur essendo l’unico faro morale in un mondo infangato, pullulano di difetti, errori e vizi di vario tipo. Inoltre, anche loro devono scendere a compromessi tanto terribili quanto necessari.
The Wire ha avuto l’ambizione di offrire uno sguardo esaustivo e complesso sui meccanismi criminali e di potere nella società moderna, è riuscito a spiegare come il gesto marcio di una pedina qualsiasi del “gioco”, sia essa del sistema fuorilegge che di quello istituzionale, favorisca sempre l’accrescere e il perpetuarsi della “macchia nera” a tutti i livelli. “The Wire tratta di cosa le istituzioni – burocrazie, imprese criminali, le culture della dipendenza, anche il capitalismo selvaggio – fanno agli individui. Non è stato pensato come puro intrattenimento (…) è uno show arrabbiato.” (Simon).