Recensione, Supereroi

THE SUICIDE SQUAD – MISSIONE SUICIDA

Titolo OriginaleThe Suicide Squad
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2020
Genere
Durata132'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Savant, detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belle Reve, viene reclutato dall’agenzia governativa Argus per partecipare, insieme ad altri criminali, a una “missione suicida” sull’isola di Corto Maltese. Dove però non ci sarà una sola Suicide Squad.

RECENSIONI

Suicide Squad segue una parabola strana: all’inizio si fa apprezzare per il suo essere obliquo, sfacciato, intelligente e intenzionalmente divertente ma poi, col passare dei (troppi) minuti, inizia progressivamente a stancare un po’ – fino quasi all’indispettire – per il suo essere obliquo, sfacciato, intelligente e intenzionalmente divertente. Tutto il prologo, fino alla morte di Savant (Michael Rooker), è sostanzialmente perfetto: dal collegamento / distacco ironico col / dal primo (?) Suicide Squad, al dialogo-non-dialogo con l’universo Marvel, all’Anti-Epica sguaiata ma potente, passando per momenti irresistibilmente folli (lo smontaggio di TDK). Poi anche se il mood, e alla fine anche la qualità intrinseca generale (se così si può dire), rimangono quelli, James Gunn sembra innamorarsi troppo della sua idea di film e finisce quasi per dimenticarsi il film.

Se, infatti, questo Suicide Squad sembra la uncensored director’s cut di Guardiani della Galassia, e sulle prime la cosa sembra davvero cool, dopo un po’ ci si rende conto questo affastellarsi di gag, stranezze e scorrettezze sistem(at)iche diventa una specie di sterile esercizio di stile destinato a girare sempre più a vuoto intorno alla sua controllatissima sguaiatezza, esercizio di stile al quale manca quella coerenza e quella coesione che rendono i Guardiani un film piacevole da guardare e non solo un oggetto obliquo del quale compiacersi. Sia chiaro: qua e là si ride di gusto, Gunn ci tiene a (di)mostrarsi bravo anche con la mdp (il movimento di macchina che ribalta la prospettiva, subito in apertura, è una dichiarazione di intenti), ci sono sequenze crudelmente divertenti (Harley Quinn che strangola con le gambe il suo aguzzino) e altre in cui si accarezzano perfino ipotesi di poesia/commozione (legate al personaggio di King Shark) ma, nel complesso, prevale l’impressione di trovarsi di fronte a un prodotto, al contempo, troppo cerebrale e troppo narcisistico per risultare vero.