Horror, Recensione

FOG (1980)

Titolo OriginaleThe Fog
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1980
Genere
Durata89'

TRAMA

Antonio Bay sta per festeggiare i 100 anni dalla sua fondazione mentre una nebbia minacciosa proveniente dal mare incomincia ad avvolgerla nella sua fitta coltre inaugurando una misteriosa catena di eventi…

RECENSIONI

The Fog è una delle pellicole più personali e in qualche maniera più sofferte all'interno della filmografia carpenteriana. Dopo il vasto successo di critica e pubblico ottenuto (in seconda battuta) da Halloween e i capitomboli televisivi di Someone's watching me! e Elvis, Debra Hill riesce a convincere la Avco Embassy ad erogare un piccolo capitale (inizialmente un milione di dollari a cui se ne aggiunsero altri centomila per le nuove riprese a fine film) per girare un altro horror movie. A film ultimato il prodotto non piacque né ai produttori né a Carpenter stesso (cosa ancora più grave) il quale per primo si accorse che The Fog così concepito non funzionava. Era un horror che non faceva paura (anche se occorre dire che il regista preferì lavorare su un concetto di paura ben più esteso del semplice raccapriccio). Carpenter allora chiamò di nuovo a raccolta il suo entourage (la Hill, Dean Cundey, Tommy Lee Wallace, Rob Bottin e l'intero cast) è girò nuove sequenze con scene più esplicitamente spaventose, poi rimontò tutto in una nuova fase di editing in pochissimo tempo per consegnare il lavoro nei tempi stabiliti. Il film è di una genuinità tale che ricorda (e contemporaneamente omaggia) quella cinematografia orrorifica low-budget degli anni'50, molto vicina all'estetica degli E.C. Comics ai quali si ispirò anche George A. Romero per il suo Creepshow e, principalmente, della premiata ditta Lewton-Tourneur fondata sul paradigma dell'orrore suggerito (ma non esiste alcun dubbio sul fatto che Carpenter stia pensando pure a El buque maldito di Amando De Ossario, conosciuto in USA con il titolo Ship of Zombies). Continua a farsi strada nella mente del giovane Carpenter l'idea di un orrore pervasivo legato a un concetto di male ancestrale, ignoto, lovecraftiano (di sicuro l'esergo di Poe d'ascendenza shakespeariana sui sogni dentro i sogni, voluto da Debra Hill, risulta in tal senso fuorviante) che provenendo da un altrove metafisico è l'indefinibile latore di morte e sciagura (non manca neppure il chiaro riferimento all'Hitchcock de Gli uccelli: l'implacabilità di un quid apparentemente immotivato), inspiegabile e indistruttibile (è la 'cosa', vecchio pallino carpenteriano innescato dalle suggestioni old-fashioned della pellicola di Hawks-Niby. Stevie Wayne nel finale di The Fog rievocherà l'ammonizione di La cosa da un altro mondo sull'oscuro scrutare: qui il mare e la nebbia, là i cieli). The Fog è anche (o forse soprattutto) una ghost story delle più classiche (straordinaria la sequenza iniziale di John Houseman/Ancient Mariner che racconta ai bambini nel cuore della notte illuminata da un focolare sulla spiaggia la triste maledizione di Antonio Bay mentre la m.d.p. si solleva ad inquadrare la baia spettrale al crepuscolo, inquadratura già foriera di imminenti catastrofi connotata dalle luci di Cundey, elemento basilare del film, oltre agli effett(acc)i dal gusto exploitation) grazie alla quale Carpenter riesce narrativamente e visivamente ad animare la terrificità brumosa che invade la piccola località costiera della California (meravigliose le location plurime studiate per il film su due delle quali, Inverness e Point Reyes, vengono costruiti i due set di riferimento per un gioco interminabile di rimbalzi logistici durante le riprese), innestando la storia fiabesca dei fantasmi vendicativi nell'ampia astrattezza del racconto sulla nebbia. Interessante anche il rapporto evidenziato da Carpenter tra l'adimensionalità dell'indefinito e l'assoluta concretezza dei personaggi plasmati dall'inventio registica, con a capo la donna/voce della comunità (Adrienne Barbeau) che invita e tenacemente tutta la cittadina alla calma guidandola coraggiosamente a fronteggiare il nemico invisibile. È un po', come suggerisce Carpenter medesimo, l'eroina dei vecchi film di Howard Hawks con la gelida impavidità di Lauren Bacall, ultimo, ma non ultimo degli infiniti richiami metacinematografici di The Fog.