Recensione, Thriller

THE CALL (2013)

TRAMA

Jordan è un’operatrice del 911: è sconvolta dal fatto di non essere riuscita a salvare una ragazzina dalle mani di un assassino. Si riscatta con un’altra chiamata, di una giovane rapita e chiusa nel baule di una vettura.

RECENSIONI

Brad Anderson fa la differenza in un lavoro su commissione che avrebbe dovuto dirigere Joel Schumacher: quella di Richard D’Ovidio è una sceneggiatura finanche circostanziata, nel momento in cui descrive il lavoro stressante delle operatrici del call center della polizia, ma inciampa del tutto nelle convenzioni di genere quando imbastisce “l’esterno” sul serial killer, il suo modus operandi, la sua psicologia. Tutto già visto. Poco male: fedele ad un cinema fondato anche sul senso di colpa (la protagonista, forse, ha commesso un errore fatale alla vittima), Anderson orchestra benissimo la tensione dall’inizio alla fine, sfruttando le buone idee del canovaccio quando inventa espedienti sagaci per trasformare una situazione disperata in una potenziale speranza di salvezza (rompere il fanalino dell’auto dall’interno per farsi individuare dalla polizia, lasciare una scia di vernice, e così via), senza contare che, per come organizza montato ed effetti sonori, è fra i pochi in circolazione a riuscire a far paura. Peccato l’opera crolli nel finale, quando si piega ad un soggetto che impone un’eroina solitaria che s’avventura nella tana del lupo: potrebbe essere spendibile, in modo simbolico, l’idea di due esponenti del “sesso debole” che uniscono le forze contro il bruto, ma la chiusura con vendetta da “female power” è indifendibile, soprattutto poco coerente con una scena di poco precedente in cui, in modo insolito per il genere, Anderson pare discolpare l’assassino nel rimorso e nella preda degli istinti, donandogli un’umanità che cozza con la rabbia con cui le sue vittime gliela fanno pagare.