TRAMA
Tanguy Guetz è il figlio che tutti vorrebbero. Tutti, tranne i suoi genitori…
RECENSIONI
“Mother! Oh God! Mother!”
Norman Bates
Viva la mamma, affezionata a quel pulcino un po’ cresciuto, che tanto ama gli agi della vita familiare quanto ama gli occhi a mandorla; viva il papà, che tanto ama quell’incredibile figlio al punto da volerlo in grado di conquistarsi la sua indipendenza e la sua libertà. Già, la libertà. E se invece a Tanguy la libertà non interessasse? Se invece la sola idea lo terrorizzasse? Cosa dovrebbero fare due poveri genitori per vedere il loro cucciolo lasciare il caldo abbraccio di mamma e papà? Fino a che punto potrebbero spingersi senza dimenticare il loro amore e perdere la testa? Chatiliez risponde lontano, molto lontano… Senza pretese di utilità sociale, ma movendo da un fenomeno diffusissimo soprattutto nei paesi latini, il film prende i toni di una commedia fresca e leggera, pur non rinunciando a consegnare un prodotto privo di volgarità o di banalità. Semplice ma ben orchestrato, Tanguy risolve brillantemente il problema della credibilità del grottesco nell’incarnazione del personaggio eponimo: egli è tanto comune quanto è “altro”; è francese e latino tanto è cinese. Tanguy risolve i suoi conflitti senza onore (da occidentale), ma con pazienza e temperanza (da orientale); i suoi appetiti sessuali in occidente sono lontani dalla monogamia, perché il suo cuore è in oriente; non sente il bisogno di uno spazio proprio né in Francia né in Cina, ma predilige in ogni modo il calore della famiglia allargata. Ottimamente disegnata è infatti anche la preparazione stessa di Tanguy sul piano linguistico, che è quasi sempre impeccabile, ma non essendo il pulcino madrelingue, egli talvolta viene corretto da una delle sue inaccessibili amanti – in quanto Chatiliez giustamente non ci consente di capire quello che dicono, evitando accuratamente di aggiungere ridicoli sottotitoli. E poi, sarebbe inutile negare che c’è un pezzo di Tanguy in tutti noi…
Tanguy è un giovane brillante, che ha successo in eguale misura con gli studi e con le ragazze, insomma, un individuo realizzato. O quasi: non riesce a staccarsi da mamma e papà, che dal canto loro non vedono l’ora che il “bambino” si levi di torno.
Il film di Chatiliez parte da un assioma della società contemporanea (l’amore assoluto dei genitori per il figlio unico) e, portandolo al parossismo, lo ribalta con intelligenza e ferocia. Lo stereotipo vede il figlio desideroso di lasciare il nido e soffocato da un parentado che lo colma di attenzioni? Qui, il giovane si trova benissimo in famiglia: sono i genitori che non lo sopportano più.
Prima di gridare al puro nonsense comico, consideriamo per un attimo la situazione: Tanguy è certamente un ragazzo affettuoso, ma il suo comportamento dimostra una buona dose di egoismo, del resto assecondata per anni dai genitori, i quali, constatato il risultato delle loro attenzioni, cercano in tutti i modi di disfarsene per ritrovare la solitudine di prima. Fiele puro, dunque, ma preparato in modo irresistibile.
L’idea forse più interessante è quella di dedicare il film non al giovane eponimo, ma alla sventurata coppia che ha creato l’incrocio fra un bebè e un maestro zen: a partire dalla più sfrenata consacrazione al frutto dei loro lombi (“puoi restare con noi tutta la vita”), a un’irritazione sorda e difficile da nascondere (soprattutto per la madre), sino alla decisione di rendere la vita del figlio un inferno, seguiamo édith e Paul e finiamo per condividerne il punto di vista, anche perché Tanguy non sembra un essere umano. A un certo punto, la situazione sembra risolta, ma, come sempre, tutto muta affinché tutto rimanga identico, solo trasferito a una sufficiente distanza spaziale e temporale, e per giunta “diluito” sia verso il passato sia verso il futuro.
In un caso come questo, sarebbe inutile una regia innovativa o un ardito linguaggio visivo, e Chatiliez ne è consapevole: asseconda il divertente e maligno testo (suo e di Laurent Chouchan) senza consentire battute d’arresto, il che non gli vieta di delineare garbati sottotesti (lo studente insicuro) e di costruire scene del tutto godibili anche indipendentemente dal copione: in una delle prime sequenze, la macchina da presa si muove sinuosa in avanti, chiarendo il senso di un dialogo altrimenti incomprensibile (almeno per i non esperti di lingue orientali).
Padroni assoluti del gioco, com’è naturale, gli attori: Azéma e Dussollier, scatenati, si rubano la scena a vicenda, e Berger ha una faccia da schiaffi che sembra creata per il ruolo.
Dopo il non entusiasmante "La felicita' e' dietro l'angolo", il poco prolifico regista francese Etienne Chatiliez ritenta la strada della commedia corrosiva, con risultati altrattanto discutibili. Tanguy e' un ragazzo di ventotto anni che vive in fin troppa armonia con la madre e il padre e non sembra avere la benche' minima intenzione di lasciare il nucleo familiare. Sono i genitori, quindi, che decidono di prendere l'iniziativa e di spingere, con le buone o con le cattive, il figlio ad andarsene. Lo spunto iniziale, oltre che divertente, e' anche molto attuale. Qualsiasi rotocalco, infatti, propone articoli, test e dossier, spesso superficiali, sui figli "mammoni" che all'autonomia preferiscono le comodita'. Come e' divertente l'inversione dei ruoli, con i genitori stressati (anche se le motivazioni latitano) disposti a tutto pur di liberarsi dell'adorato e poi odiato pargolone. Quello che non convince e' lo sviluppo dell'idea di partenza, che si riduce ad una sorta di giochetto sadico tra genitori e figlio stile "La guerra dei Roses", senza pero' alcun approfondimento psicologico. I personaggi finiscono infatti per muoversi come macchiette, funzionali alla creazione di gag (a volte simpatiche, alla lunga ripetitive) ma solo in apparenza problematici. La beata incoscienza di Tanguy, che si risolve in pacate reazioni agli attacchi dei genitori, ad esempio, e' ben poco credibile. Ne' si capisce bene per quale motivo padre e madre scelgano di attentare al figlio piuttosto che impostare un dialogo di confronto in cui mettere allo scoperto le proprie esigenze. Forse la critica e' proprio alla famiglia borghese, in cui l'armonia di facciata cela rancori inconfessati e inconfessabili. Forse il film vuole raccontare l'incomunicabilita', regina dei rapporti sociali, attraverso la farsa. Peccato che di tutto questo si abbia solo un lieve sentore che non diventa mai consapevolezza, ne' dei personaggi e nemmeno dello spettatore e che la risata, o il tentativo di produrla, sfumi sul nascere qualsiasi ispirazione.