TRAMA
RECENSIONI
È un'opera in tre atti il nuovo film di Radu Jude, premiato da un Orso d'oro che rafforza l'asse Berlino - Bucarest certificando il feeling particolare tra la noul val rumena e il festival tedesco. È un film di audacia formale che sconfina nel terrorismo. Si apre con un video hard amatoriale mostrato integralmente, senza commento o preambolo, schiaffato in faccia allo spettatore. Mostrare un pene eretto, una fellatio che non sia solo una nuca in movimento è un'operazione ancora sovversiva al cinema, non certo per ragioni di pruderie democristiana bensì perché segna un salto di genere. Formalmente resiste un confine tipologico tra pornografia e cinema - che infatti hanno spazi separati di produzione e distribuzione - e lo scandalo sta nella dislocazione meticcia: questo è il valore semantico del pene eretto nei primi fotogrammi di Persona di Ingmar Bergman, del famoso pompino che sconvolse Cannes in Buffalo '66 di Vincent Gallo e, più recentemente, dei momenti hardcore inseriti in prodotti cinematografici per il resto abbastanza convenzionali a modo di prova di forza di realismo (vedi il danese Queen of Hearts). Significa dichiarare fin da subito l'intenzione di spiazzare registri e generi.
A seguire un primo atto che è quasi un capolavoro. La protagonista viene pedinata attraverso una Bucarest al collasso tra casermoni sovietici riadattati al libero mercato e tristi come cadaveri truccati da clown, marciapiedi sull'orlo di una crisi di nervi, edifici in rovina dai vetri tutti rotti che farebbero la fortuna di Rudolph Giuliani, sale slot e discount stracolmi di robaccia ultraflat. La camera perlustra l'ambiente, si prende la libertà di abbandonare l'oggetto di pedinamento se incontra qualcosa di interessante, divergere e indugiare quanto basta e poi ripartire. Il quadro si riempe di gag visive, spesso in secondo piano o ai margini dell'inquadratura, che imbastiscono un teatro dell'assurdo popolato persone vestite da supereroi, cocomeri e marinai. Ne esce un ibrido tra il neorealismo e i Monthy Python oltre che una delle traduzioni cinematografiche più fedeli del dettato situazionista sulla "deriva". Il gusto per i contrasti forti e gli elementi fuorvianti del quotidiano, per il dadaismo involontario delle classi degradate ricorda anche la poetica di Martin Parr. E per fortuna il ritratto antropologico di una società liminare, dove un'apocalisse a bassa intensità si rigenera in ogni momento - nel tracollo da tardo capitalismo di qualsiasi nozione di solidarietà, nei dialoghi demenziali complottisti presi dai social, nella reiterazione automatica di tutti i peggiori precipitati del dio patria famiglia, nella volgarità dilagante - non somiglia a quelle di Paolo Sorrentino, non ha quel moralismo colluso e compiaciuto bensì un sarcasmo surrealista terrorista, che punta a far detonare le contraddizioni di un momento storico (di una specie?) idiota.
Parlando di gusto per l'idiozia, è inevitabile andare all'Omero della bétise, Gustave Flaubert. Non è un caso che la seconda sezione di motti e proverbi ricordi nella forma il Dizionario dei luoghi comuni, l'opera compilatoria sullo stato dell'arte dell'imbecillità a metà ottocento assemblato dal perfido scrittore francese. L'idiozia come Forza Cosmica sembra essere complemento e alleato della reazione nella società rumena maschilista e bigotta senza speranze tratteggiata da Jude. Tra momenti epigrafici fulminanti (vedi la voce: "Bambini: prigionieri politici dei loro genitori"), video agghiaccianti di collusione tra clero e movimenti neofascisti e spigolature che parlano all'Antropocene (Alexandre Bloch che annota gioiosamente, il giorno in cui si inabissa il Titanic, che per fortuna "esiste ancora un Oceano"), si tratta di un catalogo asistematico e random di apologhi brevissimi, perfettamente tarati sull'attention span dell'era TikTok, che vuole dare un doppio giudizio apocalittico: sull'attualità e sulla storia dell'uomo nel complesso. Purtroppo il film perde coesione e lucidità nel terzo e ultimo atto: in una surreale corte interna del vetusto edificio scolastico la professoressa, messa alla gogna in seguito alla diffusione del filmato amatoriale, subisce un processo vero e proprio da parte di colleghi e genitori, dove non manca nessun rappresentante della società rumena. L'umorismo si fa crasso (il prete con la mascherina I can't breathe), il tono vira nel finale verso il camp più sfrenato, il messaggio passa chiarissimo attraverso l'osceno martirio perpetrato sulla stimata professoressa da parte di un branco di bigotti imbecilli sensibili al cospirazionismo antisemita. Forse fin troppo chiaramente se l'espediente del processo scopre fin troppo l'impianto a tesi e una certa rigidità nel programma didascalico. L'impressione è quella di vedere un terrorista salire in cattedra.
C'è un altro segno onnipresente in Sesso sfortunato e follie porno e, paradossalmente, immensamente più forte e straniante dei cazzi e delle vulve del prequel: le mascherine. Ricordiamo come uno shock culturale il video di Ten grand goldie degli Einsturzende Neubauten in cui Blixa Bargeld sfoggiava una chirurgica come uno dei primissimi prodotti visivi marchiati dalla pandemia in corso. Al netto di protocolli di sicurezza in fase di ripresa per cui la scelta può avere (anche) motivazioni pragmatiche, girare nel 2020/21 mette di fronte a un binarismo (de)ontologico. Si può rivendicare il cinema come ribbon of dreams, come territorio dell'immaginario da proteggere rispetto agli orrori di un presente onnipervasivo, totalizzante e imperialista allo stesso modo in cui cerchiamo di salvare almeno l'attività onirica dall'applicazione di protocolli sanitari e distanziamenti e quindi girare come se nulla fosse. Oppure dare il segno dello Zeitgeist esplicitandolo nei caratteri esteriori, immediatamente visibili che hanno ridefinito l'aspetto del mondo negli ultimi quattordici mesi. Il mondo pandemico serve a Jude anche da metafora. Le mascherine personalizzate nei modi più grevi sono segno ridanciano e osceno di un'era oscura, il distanziamento sociale è già trasfigurato in un veicolo per l'aggressività, le sirene delle ambulanze sono un sonoro di sottofondo, un basso continuo che ricorda la morte e l'allarme ma finisce per farsi ambiente. In generale il cosiddetto "presente pandemico" con le sue intimazioni alla pulizia, alla sanificazione, l'interdetto sulla socialità e sulla sessualità si fa allegoria di una condizione non contingente nella società rumena inquisitoria e essenzialmente fascista oltre che misogina e repressa/repressiva. Radu Jude trova anche altri modi per usare il qui e ora ai suoi scopi, per esempio sfruttando il tic di cercare tutto su wikipedia o google tramite smartphone per inserire citazioni o fatti extradiegetici a proprio gusto. Sicuramente, se spesso l'arte sconta un certo ritardo nell'assorbimento dei caratteri contingenziali del presente e tende a ometterli oppure a inserirli in modo forzato e imbarazzante, è estremamente interessante notare, stavolta, la spigliatezza e la spregiudicatezza.
Bad luck banging or loony porn si apre con la citazione di uno dei principali testi sacri induisti, il Mahābhārata: «Nessuno capisce che il mondo sta affondando nell’oceano del tempo così profondo e infestato da quei grossi coccodrilli chiamati vecchiaia e morte». Il discorso è a proposito di crepuscoli plurimi e concentrici: dalla Romania fino al pianeta Terra siamo agli ultimi atti e si vede. Il conterraneo Cristi Puiu si è cimentato con Malmkrog contemporaneamente con il tema dell'apocalisse pensandola in termini fine-ottocenteschi e quindi in definitiva astorici, come un tramonto dell'occidente spengleriano. Jude fa pensare invece a una versione black humor di Nuova era oscura di James Bridle, ossia al documentario della nostra personale escatologia in corso d'opera. L'espediente narrativo del leak porno serve da reagente ma non è solo un McGuffin: non è un caso che la puntura dello scorpione morente vada a colpire esattamente una donna nell'esercizio della propria libertà sessuale. Il mondo starà pure per collassare ma non smette di reggersi sulle vecchie strutture sociali patriarcali. I bersagli sono tutti giusti e per una volta si ha l'impressione di vedere un cinema giovane che non ha paura di infrangere regole sintattiche e vocabolari consolidati. Peccato soltanto che verso la fine il castigatore, ridendo, dei costumi Radu Jude perda la misura sia dell'ironia sia del furore censorio. Ad ogni modo, se non sappiamo quanto resisterà al passaggio del tempo e alla perdita di urgenza e riconoscibilità di alcuni suoi temi, certamente Bad Luck Banging... si attacca al 2021 come un sismografo con il suo pirotecnico realismo particolare, diametralmente opposto alla cifra grave e minimal della prima ondata Noul val.