TRAMA
Un’infermiera diventa ossessionata dall’anima di un sua paziente in punto di morte. Delle forze sinistre riemergono dal suo passato e la sua missione salvifica è sul punto di vacillare.
RECENSIONI
C’è una medaglietta al collo di Maud, ma non raffigura la Madonna, e nemmeno Gesù. Per farsi guidare lungo il nuovo cammino aperto dalla recente conversione, Maud ha curiosamente scelto l’effigie di Maria Maddalena, la peccatrice redenta che Cristo chiama per nome fuori dal sepolcro, facendone la testimone della sua resurrezione. Del resto anche lei, come la santa a cui s’è votata, intrattiene con il Signore un rapporto privilegiato: lo invoca, gli si racconta, lo pungola a tu per tu, impaziente di scoprire un disegno più grande al quale si sa destinata, ansiosa di rimodellarsi in un ruolo, in una funzione che finalmente le si confacciano. Così, quando viene assunta come badante e infermiera di una ballerina sul viale del tramonto, ostaggio di un corpo roso dal cancro e di una casa-prigione che fa da palcoscenico all’ultimo atto della sua esistenza, si convince di scorgere finalmente il compimento di una vocazione: atea, dedita al vizio e al piacere (o a quel che di esso è rimasto), attraversata da una pulsione vitale che sfida impudicamente i limiti imposti dalla malattia, Amanda è per Maud un’occasione da cogliere prima che sia troppo tardi, un miracolo da compiere urgentemente al fine di sancire la propria beatificazione. Nell’opera prima di Rose Glass, tuttavia, il moto attrattivo-repulsivo che agita le due donne elementarmente antitetiche, e il thrilling che ne viene, non è che la soglia; l’abito, castigato, del quale Saint Maud presto si spoglia per lasciare intravedere il pas de deux che alla regista interessa davvero orchestrare, inscritto nel titolo stesso: quello tutto orrorifico che contrappone le due anime irrisolte di Maud – santa e peccatrice, caregiver e carnefice – in una battaglia che si combatte sulla sua pelle, martoriata dal dolore autoinflitto ma pure trapassata dai fiotti acuti di piacere in cui si sostanzia la mistica possessione. Come da topos horror, anche in Saint Maud le luci sfarfallano, ad annunciare il manifestarsi dello Spirito, ma qui, più che la cupa magione che ospita le due donne, è il corpo della protagonista la vera casa infestata, abitato dagli spettri delle ipotesi identitarie sempre insufficienti in cui Maud ha tentato di declinarsi. Prima, almeno, di lib(e)rarsi in un’Assunzione al cielo che sancisca la sua definitiva separazione da un altro corpo a lei crudelmente estraneo: quello sociale.