Horror, Recensione

RIFLESSI DI PAURA

TRAMA

Sospeso dalla polizia per aver ucciso accidentalmente un agente sotto copertura, Ben Carson è sprofondato nel tunnel dell’alcool facendosi cacciare di casa dalla moglie Amy. Trova una sistemazione provvisoria presso la sorella Angela, ma per riconquistare l’affetto della moglie e dei due figli accetta un impiego come guardiano notturno di ciò che resta dei Mayflower, una volta lussuosi ed esclusivi grandi magazzini attualmente in rovina a causa di un incendio che è costato la vita a molte persone. Durante le ronde notturne, si imbatte però in un fenomeno terrificante: gli specchi riflettono le vittime in combustione del vecchio incendio e lo avvolgono tra le fiamme, facendogli provare atroci sofferenze per poi svanire all’improvviso. Man mano che i giorni passano, lo scosso Ben, creduto da tutti in preda ad allucinazioni da stress e psicofarmaci, vede le presenze riflesse minacciare la propria famiglia e riceve dagli specchi l’ordine di cercare un nome: Esseker.

RECENSIONI

Archiviamo immediatamente un paio di pratiche: 1. Mirrors fa paura? A sprazzi. 2. Perché negli USA hanno deciso di rifare un pasticciatissimo horror sudcoreano del 2003? Perché – reggersi forte! – la New Regency, nella persona della produttrice Alexandra Milchan, ha visto nel plot di Into the Mirror “il potenziale per un thriller psicologico dotato di diverse chiavi di lettura, secondo la tradizione di Shining” (pressbook dixit). Contattato per trasformare in film questo delirante progetto, il collaudato duo Aja/Levasseur ha avuto il suo bel da fare per addomesticare la scombiccherata sceneggiatura originale e calarla in un contesto familiare: se infatti il film di Kim Sung-ho era incentrato sul paralizzante senso di colpa di un ex poliziotto sostanzialmente solo, Riflessi di paura è un dramma familiare con poderosi innesti horror. Più che dal rimorso per aver ucciso accidentalmente un collega sotto copertura, l’ex agente della NYPD Ben Carson (un volenteroso Kiefer Sutherland) si rode per essere stato allontanato dall’amata famiglia (causa alcoolismo molesto) e si ricicla come guardiano notturno per riguadagnare credibilità agli occhi dei cari. Le tremende visioni a cui è sottoposto lo spingono all’azione soltanto quando fuoriescono dall’ex grande magazzino Mayflower e fanno capolino nella casa della moglie e dei figli, minacciandone l’incolumità: un padre in cerca di riabilitazione, insomma, che intende rimediare col coraggio presente alle inadempienze passate. Ebbene, questo è senza ombra di dubbio l’aspetto più sconfortante del film. Dove invece Mirrors soddisfa ampiamente è nell’ambientazione: se c’è un regista di horror capace di saturare gli spazi di inquietudine e angoscia, questo è Alexandre Aja. Quasi interamente girato a Bucarest (fatta eccezione per alcuni esterni realizzati a New York), Riflessi di paura si svolge principalmente nella carcassa carbonizzata degli ex magazzini Mayflower, in realtà l’incompiuta Accademia delle Scienze commissionata da Nikolae Ceausescu: insieme allo scenografo Joseph Nemec III, Aja ha trasformato questo edificio in un autentico teatro degli orrori, in cui ogni corridoio e ogni anfratto sprigionano un senso di marcio e di sfacelo letteralmente avvolgenti. L’immersione ambientale regala perle di crepitante atrocità (il riflesso di una vittima in combustione) e contagiosa visionarietà (le fiamme che ghermiscono l’immagine speculare di Ben), spingendoci addirittura alla scoperta sotterranea di un frammento dell’edificio preesistente: la camera degli specchi di un ex ospedale psichiatrico in cui venivano curati i pazienti affetti da schizofrenia. Poco importa se la sceneggiatura procede a zappate e se al tema familiare si aggiunge con sconcertante gratuità quello religioso (il provvidenziale intervento di una suora reclutata con ricatto emotivo e armato): la parte di film che interessa a Aja (e a noi) è quella ferocemente visionaria che imperversa nel Mayflower. E se a questa monumentale camera ardente aggiungiamo una sequenza di smascellamento di gocciolante tangibilità (la morte di Angela, la sorella di Ben), possiamo dirci pungentemente (anche se non complessivamente) appagati. Non resta che aspettare il duo Aja/Levasseur alle prese con un progetto meno produttivamente sconsiderato e ottusamente familista: il loro estro maligno non è in discussione. Un consiglio: evitate l’originale coreano e riguardatevi il bellissimo Two Sisters di Kim Jee-woon.

Non staremo troppo a menare il can per l’Aja (sono mortificato, questa mi è scappata) e, piombando subito al dunque, diciamo che questo Mirrors è una mezza delusione e mezzo. Non si tratta, come si è scritto da più parti, della completa normalizzazione del regista francese, (s)vendutosi a Mammona o simili, ma di una parziale battuta d’arresto, questo sì. Perché se è vero che Aja ha ancora molto da insegnare in termini ansiogeni (la sequenza di apertura) e di intolerable cruelty visiva (la morte della sorella di Ben), è anche vero che stavolta, ancor più che in Le colline hanno gli occhi, gli sprazzi di vera Haute Tension sono pochi e si fanno piccoli piccoli di fronte a una composizione Horror piuttosto lisa, con un sound department caricato di troppe responsabilità e una sceneggiatura che, da due terzi di pellicola fino alla fine, grida disperatamente vendetta. Certo, come nota giustamente Baratti, non sono quisquilie come quelle che riguardano la storia a interessarci: anche in Alta Tensione, per dire, il plot twist decisivo era demenziale ai limiti dell’autoparodico, ma Alta Tensione ci aveva già dato molto “altro” (di molto “alto”). Mirrors ci dà qualcosa, decisamente non abbastanza. Scenografie di adamantina ispirazione videoludica: impossibile che Aja e il suo scenografo non abbiano fatto almeno una partitella a Bioshock o a Condemned.