Drammatico, Recensione

QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA

Titolo Originale36 vues du Pic Saint-Loup
NazioneFrancia/Italia
Anno Produzione2009
Durata84'

TRAMA

Kate, tornando a dirigere il circo dopo una quindicina di anni, incontra Vittorio che, affascinato dalla donna e dalla vita circense, si fa coinvolgere pian piano dalla rappresentazione.

RECENSIONI

Rivette continua la sua riflessione sui meccanismi della rappresentazione abbandonando, dopo Va savoir!, il teatro e scegliendo, come sfondo significativo del suo girotondo adulto, il circo, inteso come espressione sintomatica di un'arte in declino e ulteriore spazio di messa in scena di una finzione attraverso la quale si arriva a percepire la verità. 36 vues du Pic Saint Loup (il titolo italiano la butta in commedia sperando di accalappiare un pubblico sprovveduto che rimarrà puntualmente deluso) è un film che, dunque, passando di scenario in scenario fa di una detection, la ricostruzione del passato di Kate, il centro nevralgico delle azioni sceniche; la donna è tornata nel luogo che ha segnato la sua vita per cogliere l'ultima possibilità di capire cosa l'ha fatta diventare ciò che oggi è: una persona afflitta e profondamente segnata da un amore conclusosi tragicamente. Vittorio ha dunque la funzione di operare questa ricostruzione, di far guarire la ferita di Kate, di liberarla dal ricordo che la imprigiona; il personaggio interpretato da Castellitto è, in tal senso, un carattere palesemente provvidenziale, spudoratamente scritto, limpidamente archetipico, che arriva in tutta evidenza a sistemare le magagne, da deus ex machina quale è stato concepito; Vittorio prende dunque in mano le redini del circo e usa il circo, luogo di incantati infingimenti, per risolvere la situazione reale di Kate, quella di un passato di morte consumatasi proprio a cagione di un'infausta esibizione: il numero della frusta, in cui (dato essenziale) Kate ricopre un ruolo (la sua presenza nell'arena è il corrispettivo della recita di un personaggio teatrale che, come avviene sovente in Rivette, consente a chi lo interpreta di capirsi), diventa allora il supremo esorcismo di quel passato, lo dissipa una volta per tutte. Il dramma a quel punto si dissolve, i personaggi salutano, Vittorio ha esperito la sua missione e può sparire. Rivette, col rigore assoluto che lo contraddistingue, continua a confondere i piani, non ci nasconde come tutto sia rappresentazione, che il dramma si annida in ogni livello della sua opera e che esso può slittare dall'uno all'altro (l'entrata di Vittorio nella rappresentazione circense ne costituisce l'esplicitazione evidente); in ognuno di questi piani l'opera riesce a mantenere la sua orgogliosa logica, non ritraendosi di fronte alla necessità di essere puramente teorica e dimostrativa, al contrario facendo sì che il dispositivo narrativo riconosca tale necessità come parte integrante di esso, mettendo da parte i dati psicologici e lasciando che tutto emerga dalla superficie della messa in scena. E' peraltro miracoloso il modo in cui l'autore riesca, nel perfetto tornare dei suoi soavi teoremi sui rapporti tra arte e vita, a dare spazio all'adorato imprevisto: il film dunque si muove tra i binari del glaciale meccanismo narrativo definito e le variazioni e improvvisazioni che riescono a sublimare l'ineluttabile automaticità dell'intreccio con il dato di un'estemporaneità viva e gioiosa. In questo Rivette rimane grandissimo, dimostrando una freschezza di stile ancora invidiabile nella granitica disciplina che sovrintende il suo cinema, un cinema senza tempo poiché dominato da un'intelligenza indifferente alle sirene delle facili scappatoie delle mode.
Viva Jacques.