TRAMA
Reinaldo Arenas è uno scrittore e poeta cubano. Nasce nel 1943 nella provincia di Oriente e muore nel 1990 a New York. Il film confronta alcuni momenti della sua vita: l’infanzia di assoluta povertà, ma anche totalmente libera, con gli orrori e le difficoltà incontrati come scrittore omosessuale, censurato e perseguitato nella Cuba castrista, fino all’esilio a New York.
RECENSIONI
"La differenza tra prendere un calcio in culo a Cuba e prenderlo in America è che a Cuba ti devi inginocchiare ed applaudire, mentre in America puoi urlare". Questa l'efficace sintesi con cui lo scrittore Reinaldo Arenas, di cui il film ripercorre la vita, riassume la differenza tra un sistema capitalistico e un regime comunista.
Il film resta però lontano da una qualsiasi ideologia e si limita a raccontare la storia di un uomo, lo scrittore e poeta Reinaldo Arenas appunto, mostrando, oltre alla Cuba folkloristica a cui siamo ormai abituati, una Cuba più intima, attraverso le parole di chi l'ha vissuta dal 1943 fino all'esilio in America nel 1980. Così facendo il regista pone molte più domande di un qualsiasi pistolotto morale a tesi.
Molto curato l'aspetto visivo, con una fotografia sgranata di immagini belle che, associate alle parole, procurano sensazioni che vanno "oltre" la semplice fruizione di un film. E poi c'è lui, Javier Bardem, che offre un ritratto dello scrittore tenero, determinato, vulnerabile, forte ed indimenticabile. Divertente il doppio cameo grottesco di Johnny Depp ed un po' inutile la poco più che comparsata di un irriconoscibile Sean Penn.

Cosa puo' spingere uno dei più quotati pittori contemporanei a buttarsi nel cinema? Se BASQUIAT appariva l'omaggio di un sincero ammiratore nei confronti del geniale e sfortunato outsider, una sorta di riparazione postuma, dunque un giustificabile esercizio, neanche cosi' disprezzabile, cosa motiva questo nuovo film biografico? Cosa dobbiamo aspettarci ancora da Schnabel? Quali amici del suo fighissimo salotto newyorkese scomodera' la prossima volta (ieri David Bowie, Christopher Walken e Brian Eno, oggi Sean Penn, Johnny Depp, Hector Babenco, Laurie Anderson e Lou Reed)? Interrogativo ozioso per un film ozioso quanto altri mai. Rimane il bell'inizio, con le parole del protagonista ancora fresche, prima di diventare nenia tediosissima; con una bella camera mobile, prima di diventare un reiterato fastidioso; con un bimbetto espressivo, prima di diventare un granitico Bardem (Coppa Volpi come migliore attore? Naaaaa). Rimane la riflessione sulla bellezza, prima di diventare un diktat, appannaggio esclusivo di pochi artisti gay (smettiamola, per favore); rimane Depp bellissimo travestito, prima di diventare un rozzissimo e prevedibile tenentino. Rimangono i bei titoli di coda. Rimane poco.

Cinebiografia romanzata di Reinaldo Arenas, scrittore cubano omosessuale e anticastrista, censurato dal regime e condannato alla segregazione (e alla fuga). Un film se possibile ancora più respingente di Basquiat. Schnabel le prova tutte per inculcare nella testa dello spettatore la convinzione di assistere a un film toccante: il proprio nome arty sparato a tutto schermo, l'incipit all'insegna del panismo, una cascata di inquadrature poetico-idriche, castoni di immagini d'archivio, Jerzy Skolimowski come professore sovietico in trasferta a Cuba e via enfatizzando. Se potesse, spedirebbe in sala squadre antisommossa con gli idranti per intimidire il pubblico e imporre l'approvazione coatta. Il risultato è un film che, nell'ostentazione di intensità e verità emotiva, proietta le immagini a una distanza siderale dallo spettatore, comunicando un'irrecuperabile sensazione di antipatia (nel senso di avversione per la pomposità della messa in scena) e artificio. Non aiutano certo le continue lezioni di vita impartite un po' da chiunque (dal letterato José Lezama Lima in primis) e la prova strappapplausi e coppevolpi di Bardem (di questa bravura oscena personalmente ne ho fin sopra i capelli). Solito cast oceanico con camei extralusso (Sean Penn liscio, un doppio Depp), qualche momento di indimenticabile claustrofobia (incredibilmente angosciosa la sequenza della "cellula" d'isolamento) e un Mahler gettato alle ortiche. Un film schnabeliano, vale a dire tonitruante.
