Drammatico, Recensione

OCCHI DI SERPENTE

Titolo OriginaleSnake eyes
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1993
Durata106'

TRAMA

Un regista gira un film su di una coppia in crisi: lei vuole redimersi, cercando Dio, da droga e sesso; lui è disperato perché non ha alcuna intenzione di rinunciarvi.

RECENSIONI

Prima o poi, tutti i registi che si considerano "autori" si cimentano con il racconto metacinematografico: tocca ad Abel Ferrara e allo sceneggiatore Nicholas St. John, in questo (classico) parallelo fra dietro e davanti la macchina da presa, dove è riproposta la loro ossessione biblica per il peccato e la redenzione, per il Bene contro il Male, il Paradiso e l'Inferno. Il doppio di due coppie in crisi sul e fuori del set, la doppiezza del tradimento del letto coniugale. Doppi schematici e manichei, "occhi di serpente" sulla stessa faccia del dado (nel gioco, è un lancio "perdente"), occhi della macchina da presa, dell'anima che filma se stessa (il regista che vive il racconto cinematografico come un calvario) e si pente (il serpente del peccato originale) specchiandosi nelle traversie del Fitzcarraldo di Werner Herzog. Ferrara trasporta da New York a Los Angeles la sua "Sodoma e Gomorra", per ritrovare a Hollywood la patria del vizio, del sesso corrotto, dell'abuso di droghe: tutti i suoi personaggi portano gli occhiali da sole, come per nascondere la vergogna. Un cinema in cui il moralismo si fa pesante e maniacale, con impianto che non sorprende per originalità (non bastano le riprese a mano, le interviste godardiane, gli inserti video per marchiare un film "artistico"), ma stregano i modi violenti, le atmosfere cupe (il “cinema” evocativo di Ferrara dice sempre di più delle sue sceneggiature), le prove degli interpreti (ottimo Harvey Keitel, brava Madonna, impegnata anche nella produzione e ironicamente autobiografica: "È solo una troia e non sa recitare"). Tecnicamente, come finestra sul modo di fare cinema, è un inno stanislavskiano. Moralmente, è un inno a Dio contro il consumismo e i sette peccati capitali, oppure il segno di un senso di colpa autobiografico, indotto dalla coscienza di un cattolico.