
TRAMA
Due killer sono ingaggiati per recuperare una valigetta. Sono al soldo di un afroamericano che tiene in pugno anche un pugile, cui ordina di perdere il prossimo incontro e che, invece, fugge dopo aver vinto il match.
RECENSIONI
È con questa pellicola instant-cult, premiata a Cannes con la Palma d’Oro, che esplode il fenomeno Tarantino, per quanto reiteri il cinema (e le maestranze) di Le Iene fra gangster, violenza grottesca, spassosa vena paradossale ed episodi non disposti cronologicamente: gli incastri di flashback, però, sono molto più complessi e sottilmente (in tutti i sensi) ricollegati, ed è più generosa la galleria di personaggi eccessivi e situazioni allucinanti. La rivoluzione sta nel citare, copiare, trasformare una produzione (cinematografica, letteraria, televisiva) di serie B e rielaborarla in un calderone di fonti eccitante ed immaginifico che esalta la cultura del “basso”. Innamorato di Godard (la scena del ballo di un John Travolta ingrassato cita Bande à Part), Tarantino solo apparentemente ne ripropone la strategia estetica di asintatticità o di studio del rapporto fra parola e immagine e fra cinema/mass media: in realtà, da cui l’impronta inequivocabilmente postmoderna, il suo è un elaborato divertissement a-politico, un tripudio di superfici “mainstream-underground” svuotate di contenuto e a-critiche, un frullato di film di samurai e noir, di La Mala Ordina di Fernando Di Leo (i personaggi di Travolta e Jackson) e Un Bacio e una Pistola (il pugile Butch come il Mike Hammer di Aldrich), di Roger Corman e blaxploitation, di Un Tranquillo Weekend di Paura (la scena dello stupro) e riviste hard-boiled anni cinquanta/sessanta (da cui l’inconsueto equilibrio fra improbabili coincidenze crudeli e credibilità non demenziale), di “look” da technicolor anni cinquanta e soundtrack (senza composizioni ad hoc) eclettico di surf music, beat, soul e ballate classiche. La prima parte è appesantita dagli straripanti dialoghi alla Elmore Leonard ma, non appena si scorgono le coordinate dell’impalcatura drammaturgica/figurativa si resta stregati, complice l’accelerazione progressiva del ritmo e varie scene debordanti indimenticabili, girate con una grammatica che omaggia e rompe la tradizione (l’uso della steadycam, dei Primi Piani leoniani, della tavolozza dei colori alla Frank Tashlin…). Un’opera tanto sopravvalutata (perché tutte le sue “novità” sono, in realtà, affette da cleptomania) quanto incontrovertibilmente influente: in un momento in cui tutto era stato detto e visto, Tarantino destruttura il racconto, depotenzia nel nonsense la violenza, rende iconiche scene passate in sordina in pellicole oscure, rompe schemi produttivi consolidati (ha fatto della Miramax una potenza del cinema indipendente), rende accettabile lo splatter e, soprattutto, non cerca più ispirazione nella realtà ma nelle immagini che la restituiscono nella cultura di massa.
