
TRAMA
Professionisti nel traffico di scienziati tra multinazionali concorrenti, X e Fox stanno pianificando da un anno la defezione dell’ingegnere genetico Hiroshi Imuri dalla Maas alla Hosaka. Per convincere il brillante ricercatore hanno però bisogno di un incentivo femminile: Sandii, un’eccitante ragazza italiana scovata nel locale notturno di Madame Rosa a Tokyo. Tutto sembra filare liscio, ma una volta ricevuto il compenso Fox e X si accorgono che è in corso una guerra senza esclusione di colpi tra i due zaibatsu e loro sono nell’occhio del mirino. Che cos’è andato storto? Chi li ha venduti?
RECENSIONI
Sbrigativamente liquidato dalla critica come un'inerte, istrionica rimuginazione autoreferenziale ("Ferrara è diventato un tecnico, abile a fare un film con nulla, senza azione, con tre attori che verosimilmente improvvisano e dicono le prime scemenze che gli passano per la testa (...), Alberto Pezzotta), New Rose Hotel è al contrario una delle pellicole più complesse e disorientanti di Abel Ferrara. Temi e motivi del suo cinema (l'ossessione per il superamento dei limiti, la perdizione, l'autodistruzione e la salvezza) sono spezzettati e distribuiti equamente ai partecipanti di un gioco di ruolo in cui tecnologia avanzata e degrado esistenziale ("high tech and low life") si intrecciano inestricabilmente in pieno spirito cyberpunk ("Noi siamo uomini preziosi in questa guerra, soldati di ventura coinvolti nelle schermaglie segrete tra i vari zaibatsu" sibila l'invasato Fox all'attonito X).
Interamente narrato in flashback da X, l'omonimo racconto del 1981 di William Gibson dal quale il film è tratto interessa a Ferrara unicamente come pretesto per articolare (o meglio disarticolare) una riflessione sull'attendibilità delle immagini e sulla loro incontrollabilità, in relazione al grado di manipolazione reso possibile dai media ipertecnologici. Vera e propria creatura d'immagine (l'angelo tatuato sul ventre ne è metonimica ostentazione), Sandii (Asia Argento) entra nel film come un puro dispositivo di simulazione: plasmabile (X e Fox la ammaestrano a sedurre Hiroshi) e mimetica (indossa identità e passati differenti) ma anche inaffidabile (è la sua scheda a microchip a scatenare l'epidemia) e sfuggente (una volta riprogrammato il sintetizzatore del Dna lei scompare, sparisce).
Rispettivamente regista e spettatore, Fox (Christopher Walken) e X (Willem Dafoe) restano inesorabilmente vittime della "bella tentatrice": il primo per eccesso di cinismo poiché crede di dominarla come un oggetto eterodiretto, il secondo per eccesso di ingenuità poiché si lascia sedurre dall'avvenente e ingannevole apparenza di Sandii. E' una sorta di dichiarazione d'impotenza nei confronti della rappresentazione, sia dal punto di vista postmoderno (il cinismo di Fox, destinato a sfracellarsi sui gradini di marmo di un anonimo centro commerciale) sia da quello classico (la fiducia di X, tumulata in un loculo del New Rose Hotel e condannata alla lancinante rievocazione della propria miopia). Sempre più disponibile ad assorbire le modificazioni genetiche e a concedersi al miglior offerente, l'immagine-Sandii non ha sentimenti, non ha parole da rispettare, non ha morale. Soltanto fantasmi di desiderio nella mente di chi la guarda: "Osservala, è quello che ci vuole".

Ispirato all’omonimo racconto di William Gibson, è un film noir di spionaggio industriale ambientato in un albergo il cui nome, pronunciato, sa di nevrosi (neuros), percorso da un commento sonoro cacofonico rispetto al rappresentato, fra brani languidi di Schooly-D, chitarre allucinate stile Crash di Cronenberg, e una canzone sussurrata e mimata eroticamente da Asia Argento in vena cyberpunk. Il regista s’innamora del tatuaggio angelico e inguinale dell’attrice, la crede seducente e impronta l’opera al maledettismo. La parte finale fa rewind e ripete 20 minuti (!), andando in blackout, credendosi Rashomon con epilogo-flashback sulla disperazione in forma masturbatoria, dando la misura delle arie scriteriate del film: il peggior Ferrara, quello pretenzioso (citazioni buttate lì, a caso), pseudo-autorale (lascia gli attori a briglie sciolte con dialoghi ad effetto campati in aria), che si fa prendere la mano dalle proprie visioni onanistiche, perdendo l’equilibrio e il cinema, non accorgendosi che lo sperimentalismo non è pressapochismo e che le suggestioni create dalle immagini sono annichilite da personaggi confusi, parole errabonde, un racconto spionistico da James Tont che va a Marrakech ma il Giappone lo vede solo su VHS. Quello che era mirabile work-in-progress in Blackout (dove, allo stesso modo, la vita era rivista in flashback-video), qui è sciatteria senza ironia o autoironia fra ralenti, fotografia sgranata, infra(e)rossi dominanti, languori pulp ed erotici, montaggio disordinato/svogliato, drammaturgia caotica con frasi tipo “Una volta cercavi la virtù, oggi il pompino perfetto”; “Vivere è una lunga malattia”. Imbarazzante, quasi quanto vedere un grande interprete come Christopher Walken mimare un pene con il bastone mentre arranca per il film, sprovvisto di un personaggio che non sia costituito dalle manifestazioni di follia (che, poi, sono le uniche ad andare veramente a segno).
