
TRAMA
Nella cittadina di Riverton, sedici anni prima, un serial killer, oggi creduto morto dalla polizia, giurò vendetta. I sette ragazzi nati prematuri quella notte sono convinti che il “mostro” tornerà per loro. Così è.
RECENSIONI
Wes Craven è un maestro: ha girato cose indifendibili, a volte tecnicamente svogliato altre per nulla ispirato. Per quanto fallace, grossolano, puntellato di scene convenzionali o raffazzonate, però, in questo ritorno da autore (regista, sceneggiatore, produttore) dai tempi del sommo Nightmare - Nuovo Incubo, dimostra quanto il co-fondatore del new horror americano e, poi, di quello “ludico” anni ottanta, abbia un’idea tutta personale di cinema, colma di tratti distintivi e ossessioni magnifiche anche se, in questo caso, sortiscono il loro effetto più per retrogusto nostalgico che meriti reali: pare, infatti, di tornare ai tempi di Nightmare e Sotto Shock, con puntatine in Il Serpente e L’arcobaleno (si parla di Haiti e voodoo) e in Scream (quando l’assassino si diverte a telefonare alle sue vittime). Tornano gli assassini seriali onirici, la gioventù liceale a mattanza predestinata, l’orrore a braccetto con la commedia, le invenzioni geniali. Il soggetto è del miglior Craven, inventivo ed elaborato: gli vengono a mancare una maschera dell’assassino efficace, la paura e il meccanismo d’identificazione perché, purtroppo, non dosa bene tempi e sapori, sostando troppo nella commedia giovanile prima, nei territori fantasy astrusi poi e, infine, nel mero thriller (passando attraverso il melodramma familiare). Qualcosa non funziona anche nel montaggio, nel dosaggio delle scene e nella loro messinscena: ad esempio, tutta la parte iniziale è talmente eccessiva da rischiare il ridicolo involontario e la chiusura è dilettantesca nel momento in cui vediamo acclamare come eroe da un pubblico (già) presente un (fin lì) potenziale assassino che ha appena (errore di montaggio) compiuto il gesto valoroso. In mezzo, invece, il genio: il tema del condor californiano cacciatore di anime permette una serie di trovate dove il protagonista, presunto “disturbato”, parla con i morti; l’idea goliardica e trash del costume da condor che vomita e defeca sul bullo è spassosissima; il melodramma psicologico che s’innesta all’improvviso cambia il volto al film e, con i suoi colpi di scena, apre nuove ipotesi e mette i personaggi sotto nuovi, precisi colori, prima risolti in eccentricità a rischio di kitsch (vedi il personaggio “malavitoso” di Fang). Distribuito anche in un 3D da post-produzione.
