TRAMA
Il buon Denzel, lacerato dai sensi di colpa, accetta di scortare la figlia di un manager messicano. Quando loschi figuri la rapiranno, deciderà di risolvere a modo suo l’annoso problema della sovrappopolazione nel paese di Zapata.
RECENSIONI
Prolisso e ripetitivo quanto può esserlo un racconto che impiega un'ora per descrivere la genesi dell'affettività tra un burbero ed una fanciulla, annacquandola con litri di cloro (le iterate gare di nuoto, barbose ed inutili) e massicce dosi di melassa, e un'altra ora e venti per seguire da vicino l'iter dell'angelo della vendetta - con un tale campionario di sistemi di tortura da far impallidire gli agenti di Guantanamo, l'ultimo tassello dello scintillante mosaico scottiano è, esteticamente, quanto di più rozzamente ed incomprensibilmente videoclip style sia stato partorito dal cinema mainstream e, moralmente, un'ulteriore declinazione cinematografica della degenerata filosofia dell' 'attacco preventivo' (e questo sarebbe anche secondario rispetto al dato meramente formale, ma in questo caso tra forma e contenuto c'è una tale sintonia!). Flashback sparati come proiettili non a salve, parentesi sentimentali spiazzanti e dilatate che stanno a Tony Scott come Il giustiziere della notte sta a Steven Spielberg, un montaggio decerebrato che rallenta e velocizza ad libitum inquadrature inessenziali, manipola e desatura colori senza che vi sia la benché minima giustificazione a livello narrativo: tutto questo rigurgitato sul povero spettatore nel vano tentativo di occultare un vuoto pneumatico di idee. Al cospetto della divorante ossessione monomaniacale dell'assetato (di sangue) Denzel, i vari Bronson, Merli ed il buon Dirty Harry fanno la figura delle collegiali timide e premurose.
Rifacimento di Kidnapping di Élie Chouraqui (1987) che proprio Tony Scott, all’epoca, avrebbe dovuto dirigere. Alla sceneggiatura c’è l’incostante Brian Helgeland che, praticamente, nella seconda parte si limita a ricopiare il suo Payback in modo più grossolano. Romanzo (1980, di A.J. Quinnell) e precedente trasposizione erano ambientate a Napoli, nell’Italia di rapimenti e Brigate Rosse: questa Città del Messico, invece, restituisce la prassi dei facoltosi di assumere angeli custodi per i figli e la maestria in inquadrature/montaggio di Scott (tensione sul nulla: il lavavetri, il clown al semaforo, l’elemosinante), che rinnova anche il proprio stile, abbandonando certi modi thriller anni settanta per abbracciare la post-modernità con velocizzazioni anche subliminali da video musicale/spot (l’intro velocizzato e colmo di ritocchi di montaggio e luci ad effetto è, però, insopportabile). Nella prima parte, la sua macchina da presa si concentra maggiormente sui personaggi, fra la tenerezza di E Io mi Gioco la Bambina (efficace Dakota Fanning, che battezza il bodyguard come ‘orso grosso e triste’) e il plot di Squadra Mobile 61 (il presunto lavoro facile non si rivela tale): commovente la scena del suicidio fallito con lo sguardo della piccola, buffi gli allenamenti in piscina, grande cinema la scena del rapimento al ralenti con note di pianoforte e insegnamenti del tutore messi in pratica (partenza del nuoto al primo sparo). Dopo 70’ di ottime premesse, però, subentra il banale film di vendetta con musica tamarra, ideologia fascista, dialoghi inascoltabili, dinamiche inverosimili (l’Interpol inane, il capo della polizia con ruolo indecifrabile), scorrette e manipolatorie (i flash sulla bambina per caricare gli animi), e il tutto annega nella chiusura effettistica alla The Fan (il rapitore ha spazio per una trattativa?), con pathos ma per i sentimenti sbagliati (Dio, Patria, Vendetta e Famiglia). Meglio rivedere il Missing di Costa Gavras.