Drammatico, Netflix

MALCOLM & MARIE

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2020
Durata106’
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

Lui sta per sfondare a Hollywood. La storia della fidanzata lo ha ispirato. Adesso il loro amore sarà messo alla prova.

RECENSIONI

Sorpresa: uno dei migliori film girati nella pandemia, sulla pandemia, della pandemia non parla affatto. Ma Malcolm e Marie, rinchiusi in una casa, costretti a un corpo a corpo estenuante, vincolati allo scrutinio continuo e crudele l’uno dell’altra, sono come dovrebbero essere i protagonisti di tutti i lockdown movie. Lunatici, incattiviti, isterici, stanchi di esser costretti a guardarsi dentro, esausti di una resa dei conti che lascia sul campo solo morti e feriti. Sono tornati dalla prima di un film, che Malcolm ha girato e che Marie prima ancora ha vissuto: solo che lui si è scordato di ringraziarla, e non possono andare a dormire, non possono continuare ad amarsi senza aver prima chiarito il perché, senza aver incriminato e recriminato, argomentato e controargomentato, accusato e implorato perdono. Sam Levinson ha girato un film parlatissimo, che si esaurisce (quasi del tutto) nella forza delle sue parole. Ma, a dispetto dell’evidenza, Sam Levinson non è un gran dialoghista: Malcolm & Marie non è fatto di botte e risposte ma di monologhi giustapposti, religiosamente ininterrotti. Nemmeno nelle pause: i testi delle canzoni non sono che la prosecuzione delle loro arringhe, solo con parole prese a prestito da altri. Ma sono sempre loro, Malcolm e Marie, Marie e Malcolm. Più il cinema: il duello non è tra un uomo e una donna, ma tra un artista e la sua musa. Cosa sarebbe lui senza la vita di lei - ex tossica, nevrotica, il corpo spigoloso di Zendaya (sì, chiaro: è ancora Rue di Euphoria)? Cosa sarebbe lei se la sua vita rimanesse solo sua, la disgrazia squallida di un singolo, e non la grande tragedia di un film acclamato? Non lo sa, Levinson. Ma non può che domandarselo, non può che chiedersi cosa fa il cinema alle persone a cui ruba le storie, fosse anche per celebrarle, risarcirle, o trascinarle fuori dall’invisibilità. Il corpo a corpo procede, e la faccenda si infittisce. Siamo arrivati al nocciolo del problema: la posizione dell’enunciazione.

È lecito che Malcolm parli per Marie? È normale che Marie, nel film di Malcolm, non veda altro che se stessa? Da una parte c’è il riflesso condizionato a leggere dappertutto la propria autobiografia. Dall’altra – e la questione è ben più seria – il paternalismo inconfessato di chi pensa di poter fare le veci dei diretti interessati, di arrogarsi il diritto di far da cassa di risonanza per i mali altrui. Malcolm parla per Marie, ma non sia mai che una giornalista bianca parli per lui (ecco perché l’invettiva contro gli automatismi della critica liberal che apre il film non può leggersi come una dichiarazione di poetica definitiva: è Levinson stesso, col procedere del confronto, a minarne le basi teoriche, a insinuare i dubbi sulla buona fede del suo portavoce). Non serve il bianco e nero – per chi scrive uno sfoggio superfluo, una excusatio non petita pur di non ammettere che sì, Malcolm & Marie è uno di quei film che non han bisogno di riscrivere la grammatica cinematografica per dire quello che devono, e non c’è nulla di male – a restituire visivamente l’asprezza di un confronto che non ha vincitori né vinti. Il film di Sam Levinson funziona proprio a dispetto delle sue incertezze, e in virtù della sua natura aperta, ondivaga, laboratoriale: come la bozza di un manifesto ancora in divenire.