Drammatico, Recensione

MALARIA

NazioneIran
Anno Produzione2016
Durata100'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Una giovane donna comunica al padre di essere stata rapita e gli chiede di portare il denaro del riscatto. Il padre e i fratelli, in preda al panico, vanno a cercarla a Teheran. Non sanno però che la ragazza è fuggita con il fidanzato e che passa il tempo insieme a un gruppo di musicisti di strada (dal sito della Biennale).

RECENSIONI

Amanti in fuga nella nuova società mediatica iraniana: Murry e Hanna, innamorati oggi a Teheran, intavolano un viaggio sentimentale che incontra il contemporaneo. Loro alleato è Azi, artista e leader della band Malaria, che li conduce nel percorso: i tre si confrontano/scontrano con i residui arcaici come la famiglia autoritaria, il dispotismo della polizia, il gorgo della burocrazia. I personaggi sono costantemente in video fin dall'inizio, con l'incipit del film che coincide con il play del filmato sul cellulare: ripresi da smartphone, catturati da dispositivi, essi diventano le immagini registrate in un contesto ormai digitalizzato. E la possibilità di riprendere imprime la testimonianza, archivia il fatto, dunque concede libertà. Ma l'opera di Parviz Shahbazi è meno teorica di così, più leggibile e assertiva: tra minimalismo e macropolitica, tra un cinico venditore che 'dipinge' pulcini e l'accordo con cui l'Iran depone il nucleare, Hanna viene intervistata in diretta Tv in quanto giovane ('Cosa propone per migliorare la società?', 'Non ho capito la domanda') esponendo i segni mediatici disseminati ovunque, enfatizzando la responsabilità delle ultime generazioni come grimaldello anti-regime. Il regista coniuga il cinema d'autore iraniano di fine secolo, coi suoi cortocircuiti realtà/finzione, a un timbro popolare centrato sui dettati dell'attualità: gira un film che tiene insieme più istanze, dalla riflessione mediale all'intreccio sentimentale, dall'umore eversivo al destino degli amanti che è sempre in bilico. Trova la scena più potente nella ripresa della festa/concerto in strada la quale, come nel finale di Offside di Jafar Panahi, registra un festeggiamento che diviene politico e parla del Paese in cerca di liberazione. Purtroppo Malaria avanza per cenni mai pienamente sviluppati, incerto sulla strada da prendere: il rischio è che da una parte nulla aggiunga alla cinematografia a cui guarda, dall'altra non riesca a sostanziare i problemi dell'oggi, costruendo poco e sottolineando troppo. Così anche il finale, con la morte (vera o presunta) dei giovani, si limita a ripetere meccanicamente un canovaccio, quello della confusione tra rappresentazione e verità.