TRAMA
ll film narra la storia del dodicenne Ali e dei suoi tre amici: insieme cercano di sopravvivere e sostenere le loro famiglie, tra lavoretti in un garage e piccoli crimini per trovare in fretta del denaro. In un colpo di scena che ha del miracoloso, ad Ali viene affidato il compito di ritrovare un tesoro nascosto sottoterra. Ali chiede aiuto alla sua banda, ma per poter avere accesso al tunnel è necessario iscriversi alla Scuola del Sole: un’associazione di beneficenza che cerca di educare bambini che vivono in strada o sono costretti a lavorare, la cui sede è vicina al luogo in cui si trova il tesoro.
RECENSIONI
Ali ha 12 anni e vive di espedienti per le strade di Teheran: lavoretti sotto l’ombra dello sfruttamento minorile, qualche piccolo furto, la madre internata in un istituto di sanità mentale. Un’opportunità insperata si affaccia all’orizzonte quando loschi figuri affidano a lui e ai suoi amici un incarico segreto che potrebbe cambiare le loro vite: scavare un tunnel sotto la Scuola del Sole – associazione di beneficienza per l’educazione dei bambini di strada – e ritrovare un fantomatico tesoro perduto. Khorshid parte da un’interessante intuizione di genere che, nei suoi momenti più curiosi, trasfigura il film nelle forme inaspettate di un Goonies in chiave persiana, a suo modo rocambolesco, vagamente allucinato. Ma il regista Majid Majidi non coglie fino in fondo lo spunto e batte ampiamente in ritirata verso territori più risaputi in cui declinare serenamente la sua critica sociale ad altezza di ragazzino. Il film si dimena – letteralmente, data la ruvidezza della confezione e la pesantezza del montaggio – dalle parti di un certo neorealismo iraniano già visto e rivisto ormai da qualche decade. Nonostante l’energia e l’intensità dei giovani attori non professionisti (fra tutti il protagonista Rouhollah Zamani, vincitore del Premio Marcello Mastroianni per un giovane attore emergente alla Mostra del Cinema 2020), le difficoltà della strada, il disagio sociale e la piaga del lavoro minorile vengono affrontati con un approccio pedantemente pedagogico e didascalico (un cartello ad inizio film mette subito in chiaro di cosa si parla, come e cosa dobbiamo pensare), un piglio retorico che mira alla facile indignazione, ma non apre mai a nuove prospettive. Tutto è prevedibile, incluso l’omaggio al più grande di tutti, Abbas Kiarostami (che con i bambini e attorno ai bambini lavorava in maniera ben più sostanziale) – lo scambio di un quaderno e (non) è subito Dov’è la casa del mio amico? È cinema di stampo istituzionale, che spiega bene chi sono i buoni e chi sono i cattivi, cosa è giusto e cosa è sbagliato, la cui ambizione è essere innanzitutto importante, utile, necessario, tematico. Il resto conta?