TRAMA
Una psichiatra, impegnata nel caso di un serial killer, riceve delle minacce di morte proprio nel momento in cui s’innamora d’un misterioso portoricano.
RECENSIONI
Rebecca DeMornay, anche produttrice esecutiva (scaltra: abbatte i costi girando in Canada), ha chiamato alla regia il direttore teatrale inglese Peter Hall (al cinema: È Stata Via, Seconda Pelle) per assicurarsi quel minimo di sensibilità nell’approccio ai sentimenti, di consistenza nella drammaturgia e, soprattutto, per vedere valorizzato il proprio ruolo femminile, con i fari puntati addosso per disegnare una donna forte e moderna. Come immaginare, però, lo stile registico di un accademico abituato ai testi shakespeariani incollato ad un commerciale ed artificioso thriller erotico (esiste addirittura una versione “unrated”, uscita in prima battuta su laserdisc)? Oltretutto, i ridicoli colpi di scena finali smentiscono tutto il lavoro di introspezione (si fa per dire) psicologica operato sulla protagonista (altro che “donna forte”…). Dopo un passo lento insolito e fuori luogo per il genere (viste le basse pretese del soggetto: una mano meno ingessata poteva movimentarlo almeno figurativamente), nel finale vengono vomitati effettacci e rivelazioni da colpo basso che ormai hanno stufato lo spettatore, letteralmente preso per il culo come l’Antonio Banderas che si fa mordicchiare le belle chiappe da una DeMornay che “non si farà mettere sotto”. Per il resto, la pellicola è un’accozzaglia di luoghi comuni o ammiccanti: dal massiccio freudismo insito nei traumi infantili e nelle personalità multiple a Il Silenzio degli Innocenti (la psichiatra e il serial killer), dai soliti meccanismi l’assassino-ti-siede-accanto, chi-è-?, al solletico della passione sessuale spinta (Il Colore della Notte docet?). Scritto da Lewis Green e Jordan Rush, forse non a caso spariti dalla circolazione. Da segnalare la fotografia di Elemér Ragàlyi.