TRAMA
Giovane capitano, ebreo, dello Stato maggiore dell’esercito francese: innocente, accusato di spionaggio e tradimento, condannato. Un’opaca storia politica, giudiziaria, sociale nella Francia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. È l’Affaire Dreyfus.
RECENSIONI
Werner Herzog comprende che la verità è solo "dei contabili", Tarantino sempre più si ingegna a reinventarla rimpastandola, Bong Joon-ho ne fa una questione (ora pre-, ora post-) politica, questione di Parasite, mentre nella Marriage Story baumbachiana la vediamo trasformarsi in distorto e doloroso remake soggettivo di un amore che non ce l'ha fatta. Poi c’è Roman Polanski, che parte D'après une histoire vraie e arriva in ultimo a J'accuse. E, del resto, proprio tra questi due film, tra gli spettri di oggi in Quello che non so di lei e quelli della Storia in L'ufficiale e la spia, il suo cinema - come sempre - ritorna a sé e al contempo muta, rimette in circolo i fantasmi del principio e si rigenera; cinema come imprendibile, audace, radicale Ghost Writer di se stesso, delle sue forme, delle sue coincidenze inesatte, fallite, impossibili, dei suoi Cul-de-sac ineludibili, ricorrenti. Ecco che allora, anche se fatti e personaggi qui sono reali, come sin da subito ci informa il film - tratto dal romanzo di Robert Harris (L’ufficiale e la spia, Mondadori) che torna a collaborare col regista e con lui firma la sceneggiatura -, la verità è sempre distante, imperfetta, scenica, allestita, in un'opera che di autobiografico ha più l’effetto, o la premessa più facile, che la sostanza profonda.
Perché al cinema, a volte, si chiede troppo, o al contrario troppo poco. Chi è dunque Roman Polanski, a 86 anni? Per fortuna il cinema sa rispondere in altri modi, e mai per conto altrui, e lo fa oltre le presunzioni, i limiti, le colpe, le condanne, i fili intrecciati di cronache e scandali e gossip, di cosa è vero e di cosa non lo è: nell'Ufficiale e la spia Polanski è ovunque ma - meravigliosamente - non si sa mai dove, non si sa chi sia realmente. È L'uomo nell'ombra, è e non è Dreyfus, è e non è Picquart - il primo è chi la verità la conosce, il secondo gradualmente la scopre -, è e non è Émile Zola, che col suo famoso "J'accuse….!", editoriale-lettera al Presidente della Repubblica dal giornale socialista «L’Aurore» il 13 gennaio 1898, trasforma con coraggio la vicenda di Dreyfus in un clamoroso caso mediatico-politico.
Da un episodio che ha prodotto una vastità di libri ma poche storie al cinema, Polanski approda a un saggio sul potere e a un thriller dove coabitano racconto piano e tensivo, il dramma di un uomo e l'ottusa farsa, quasi somatica, gestuale, corporea, come dipinta più che filmata, di chi mente, falsifica, manipola, con una regia precisissima d'opera in costume che è anche un libero, individualistico film-puzzle, una stratificazione perfetta di segmenti narrativi che inclinano il senso insieme a ciò che la parola dice e nasconde. Polanski non riscrive la (sua) verità né la riproduce come si dovrebbe, piuttosto va oltre, va incredibilmente all'essenziale, senza semplificazione alcuna: lui che sa manipolare la materia di cui il cinema è fatto, che sa disarticolare ogni comoda certezza spettatoriale, qui dà a quello che, suo malgrado, è stato storicamente, narrativamente, il protagonista della vicenda, uno spazio laterale (come nel romanzo, nato peraltro quando già Polanski e Harris avevano iniziato a ideare il film), in uno spostamento di prospettiva e d’attesa che fa della scrittura-immagine un meccanismo raffinatissimo, uno sguardo affilato e potente, svelante. Incapsula, così, Dreyfus (Louis Garrel) in uno zona proiettata, “postuma”, in uno scarto limpidissimo, determinandolo dunque fantasmaticamente, in assenza diffusa, come se la sua figura fosse (dentro) un film parallelo o conseguente a quello del colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin), il personaggio che invece il film lo occupa, lo risemantizza di continuo, in quanto personaggio che cerca di comprendere, di capire tra i segni che i suoi uomini del controspionaggio militare e i suoi superiori hanno corrotto, insabbiato, tra ciò che continuano a insabbiare, anomalo cercatore del falso prima che giunga il vero. Perché, in fondo, Dreyfus è già tutto in quella bellissima, tremenda sequenza della degradazione militare che apre il film e sa schiudere già il Cinema.