Drammatico, MUBI, Musical, Recensione

LES CHANSONS D’AMOUR

TRAMA

Tutte le canzoni che parlano d’amore raccontano le stesse storie. C’è chi ama troppo e chi non sa decidersi, chi è incapace di vivere senza la persona amata e chi cerca di farsi perdonare dopo un tradimento…

RECENSIONI

J'ai cru entendre je t'aime(J'ai pensé c'est son problème)

Primo film di Honoré in cui, al di là della citazione esplicita (Lola, in 17 fois Cécile Cassard) e implicita (la canzone al telefono di Dans Paris), il regista guarda a Jacques Demy, replicandone il modello di musical realista e crudele in cui si canta la problematica quotidianità, il lieto fine non è garantito, la società è classista e l’impegno politico in primo piano. A tal proposito: il liceale Erwann è un attivista, L’Actu (il quotidiano in cui lavorano Ismaël e Alice) è critico nei confronti di Sarkozy (il film è ambientato anche nella sua roccaforte elettorale, il decimo arrondissement), la città è sempre grigia, lo sguardo su di essa privo di qualsiasi romanticismo (i due pedinamenti di Ismaël - Delta Charlie Delta e Au ciel - sono altrettante immersioni in quartieri multietinici).


Les chansons d’amour, primo grande successo per il regista, colpisce per la sincerità della partitura drammatica, lo spirito liberissimo che ne anima gli snodi, per la dichiarata - fin dal titolo - tematica amorosa declinata secondo schemi non tradizionali. Nella storia di Ismaël e dei personaggi che gli ruotano attorno, l’amore è fluido, uno schema complesso dalle combinazioni imprevedibili (ancora Demy, all’avanguardia nelle descrizioni dell’ambito familiare: si pensi al rapporto madre-figlia che spesso, nei suoi film, non prevede la presenza di un padre), la morte è uno spettro che appare senza preavviso, le canzoni del sodale Alex Beaupain (ne riparliamo), dando voce all’indicibile, mettono in distanza la tragedia sublimandola. Come nell’ultimo Le Lycéen il lutto scombussola il protagonista che, dopo la morte della compagna Julie, rinegozia i termini di un sentimento già sofferto e instabile. Un'instabilità testimoniata dall'apertura della coppia consolidata (Ismaël e Julie, fidanzati da anni) al ménage à trois. Come avviene anche in altri titoli del regista, se il disordine sentimentale determina infelicità, non sono da meno i limiti ei i lacciuoli che la monogamia borghese impone. 

Il pleut des cordes sur le génie de la place de la Bastille

Il film è diviso in tre parti (come Les Parapluies de Cherbourg): nella prima (Partenza) il triangolo Ismaël - Alice - Julie (Louis Garrel, Clotilde Hesme, Ludivine Sagnier), per voce di quest’ultima - che si confida con la sorella e la madre -, è al capolinea. Assenza: dopo la morte improvvisa di Julie, Ismaël cerca di elaborare la perdita, nel dialogo con la sorella maggiore della defunta, Jeanne (Chiara Mastroianni), che si è aggrappata a lui, e col terzo vertice del triangolo, Alice. Che però cerca subito di superare il fatto attraverso la relazione con un altro uomo (Yannick Renier). Ismaël, invece, non sa che strada imboccare, fin quando non incontra il liceale Erwann (Grégoire Leprince-Ringuet) che, innamoratosi di lui, si impegna a riportarlo alla vita, nonostante lutto e ritrosia (Il ritorno).
La sciagura imminente è annunciata nella scena di La Bastille (foto in alto)
: Jasmine, sorella minore di Julie, legge le tragedie di Euripide mentre piove sul Genio della Bastiglia (l'angelo sulla colonna): il futuro dramma e la salvezza del deus ex machina Erwann sono anticipati dalla canzone («A l'horizon le ciel défait/ L'ange ruisselant se dessine). Perché Erwann è l’angelo “realistico” e laico sceso dal cielo per sottrarre Ismaël alla sua disperazione (appare all’improvviso alle spalle del giovane - la prima immagine: i suoi piedi nudi -). Il sentimento puro e incondizionato di questo lycéen, il suo consegnarsi anima e corpo a Ismaël, il farne la sua missione di salvezza hanno qualcosa di idealistico e sovraumano. Anche il suo essere straniero a Parigi (le sue origini bretoni sono rimarcate fino alla fine: Je suis beau, jeune et breton/ Je sens la pluie, l'océan et les crêpes au citron) ne fa una creatura aliena. Senza contare che le sue frequenti mise a gambe scoperte sembrano altrettanti riferimenti all'immagine dell'angelo sull'obelisco.


Ho creduto di sentire un ti amo
(Ho pensato: è un problema suo)

E quello dell'angelo Erwann è chiaramente un salvataggio emotivo (per dirla con i Rolling Stones), un sostegno momentaneo che svanirà con lo svanire dell'emergenza (Honoré sul bellissimo finale del film: «I due sono su un cornicione, sospesi nel vuoto. Ismaël è tra le braccia di un ragazzo di diciassette anni; e sa molto bene che l'amore, a questa età, vale il tempo di una sigaretta. Sa che non durerà, ha questa saggezza»). Non è un caso  se la canzone che i due cantano alla fine (J'ai cru entendre) si muova sull'ambiguità di quel «ti amo» che si crede di aver udito (Ismaël: «Volevo solo un corpo/ cercavo solo braccia/ un letto di conforto/ delizie sotto le lenzuola/ ma ahimè invece mi pare di aver sentito ti amo») e che il film si chiuda su Erwann che accetta di essere un corpo, delle braccia e un conforto sessuale a condizione che Ismaël ascolti da lui le fatidiche parole. Ma l'altro lo zittisce con un bacio prima che possa pronunciarle ancora. «Amami meno, ma amami a lungo». Fine.
La canzone dei titoli di coda (Barbara, Ce matin-là) riapre il gioco interpretativo e ridisegna le possibili evoluzioni della relazione (Honoré: «Questa canzone mi sembrava un'eco all'ultima frase del film - Amami meno, ma amami a lungo -, come una risonanza, un effetto puramente formale»).

A dimostrazione di come le canzoni, lo ribadisco, nei film di Honoré siano sempre significative, anche quando sono scelte di repertorio (basti l'esempio dell’ultimo Le Lycéen). A maggior ragione nel caso di brani scritti appositamente che, se a volte fungono da didascalie esplicative, altre aprono percorsi non battuti esplicitamente o raccontano delle sensazioni intime dei personaggi permettendo loro di esprimere sentimenti talvolta complessi o ineffabili. Così quasi tutta la storia tra Erwann e Ismaël viene declinata in musica, dal primo avvicinamento, alla dichiarazione fino all’amplesso (una delle scene più difficili e a rischio, risolta in magnifica armonia, grazie anche agli interpreti, tra delicatezza ed enfasi lirica: «Allora brucia/ brucia quando ti impantani nel mio grande letto di ghiaccio/ il mio letto come una banchisa che si scioglie quando mi abbracci/ niente è più triste, niente è preoccupante/ se sento il tuo corpo come un torrente di lava»). Così, ad esempio, Delta Charlie Delta con cui l’agente annuncia in codice la morte di Julie alla radio della polizia (DéCéDé), nella canzone descrive il deflagrare della notizia nell’animo di Ismaël che ne ha compreso subito il significato («Ma terreur dans un nom de code/ Delta Charlie Delta/ Sur la fréquence de la police/ Delta Charlie Delta/ La chanson de la mort qui glisse). La canzone, insomma, al di là della sua apparente leggerezza, si fa veicolo di carichi anche pesantissimi. Si pensi al duetto Je n’aime que toi, che suona come una schermaglia tra fidanzatini, laddove  Ismaël e Julie si scambiano insulti non così giocosi (al «Piccolo bastardo, piccolo pervertito/ Dove hai messo le dita?/ Da dove vengono questi odori stranieri?/ Sicuramente non da me» di Julie, il ragazzo risponde con «Puttanella vai a farti fottere/ Non sei meno feroce/ No, non sei meno adultera»). [1]

A dominare, come sempre, l’emozione. Che trasuda dalle immagini in virtù di quella “naturalezza artificiale” (mi si passi l'ossimoro) con la quale i numeri musicali portano avanti il discorso drammaturgico. Il film, dominato da Louis Garrel (sfodera una gamma che va dal tragico al brillante, con sfoggio di mimica da cinema muto, rimanendo sotteso il vago sentore truffauttiano, un Doinel in trasparenza, come in Dans Paris) è anche il primo del regista in cui appare Chiara Mastroianni. Da figlio putativo di Demy, Honoré sceglie come sua musa la figlia di Catherine Deneuve, attrice simbolo del cinema del regista di Nantes. E la sua incoronazione, nel riferimento a Les Parapluies de Cherbourg, è spudorata.

[1]  Il ruolo delle canzoni nei film di Honoré è ben spiegato dal musicista Alex Beaupain che in un’intervista racconta di come il regista fosse arrivato a concepire la scena dell’addio cantato al telefono in Dans Paris dopo aver realizzato che non riusciva a scriverne i dialoghi senza che questi suonassero ridicoli, patetici o aderenti a certo vieto psicologismo. E di come avesse compreso che il solo mezzo per rendere giustizia alle sensazioni dei due personaggi fosse di usare il brano del cantautore (Avant la haine).