Drammatico, Sala, Thriller

L’ATELIER

Titolo OriginaleL'atelier
NazioneFrancia
Anno Produzione2017
Durata113'
Fotografia

TRAMA

La Ciotat. La scrittrice di thriller Olivia Dejazet è chiamata a dirigere un laboratorio di scrittura: tra gli studenti c’è Antoine, un ragazzo che dimostra idee estremiste.

RECENSIONI

Laurent Cantet e Robin Campillo sembrano rilevare l’impossibilità del film operaio oggi: L’atelier è ambientato a La Ciotat, Francia del Sud, ex grande cantiere navale decaduto dopo le lotte degli anni ’80 per opporsi alle chiusure, come racconta qui un anziano lavoratore. La Ciotat fa rima con la Marsiglia di Guédiguian, altro porto svilito in cui gli operai si estraggono a sorte per la cassa integrazione. Non c’è più occupazione, la storia lavoristica è ormai sbiadita e sono altri i problemi del presente: nel mondo post-Bataclan abita lo spauracchio del terrorismo, il rifiuto dei migranti, l’avanzata dell’estrema destra. Una società in bilico e una comunità in demolizione, in senso letterale, perché non sa più stare insieme: lo dimostra, appunto, l’atelier, laboratorio di scrittura di Olivia Dejazet (Marina Foïs) che raccoglie dei ragazzi con l’obiettivo di comporre una storia. Ma i giovani litigano tra loro, il racconto non nasce: è impossibile una scrittura comune. A congelare il workshop, di fatto mettendolo in scacco, è la figura di Antoine (il magistrale Matthieu Lucci, scoperta di Cantet): un adolescente spesso solo, senza vita sentimentale, con un pensiero non strutturato e un’elaborazione interiore secondo le proprie possibilità. È attratto dal nazionalismo, nutrito di video su youtube, vede lo straniero illecito e pericoloso. Nell’atto di costruzione di una storia, a nulla vale la lezione impartita da Olivia: «Si può mostrare un omicidio senza far vedere l’assassino: è il potere della letteratura». Ma Antoine ha già scelto il suo colpevole. Olivia se ne accorge: davanti al germoglio estremista parla col ragazzo, chiede, lo interroga. Il suo interesse è letterario, vuole renderlo personaggio. È così che il meta-racconto segnala un rischio, una debolezza, un dubbio e allo stesso tempo l’inquietante incapacità di comprenderlo: per lei, la scrittrice, Antoine è oggetto esotico da sondare e capire, è autentico quindi un buon personaggio, può servirle per il prossimo romanzo. La realtà è a distanza siderale.

L’atelier nella prima parte si offre come dibattito sul contemporaneo, sottoforma di laboratorio di scrittura in cui le varie posizioni si dispongono e scontrano tra loro, governate da un’intellettuale teoricamente illuminata. Un film da “camera all’aperto”, in questa stanza di vetro trasparente che convoca le istanze più complesse dell’oggi: nella sua bozza Antoine descrive un massacro, e il contrasto si inasprisce. Dopo la verbosa premessa il racconto simbolicamente esce dal laboratorio ed entra nel reale; proprio quando l’ennesima parabola sulla genesi dell’estremista sembra compiersi, però, ecco il passo indietro, la brusca interruzione, Antoine che spara alla luna. La sua ultima parola si esprime ancora in letteratura, viene affidata a una poesia, ci spiega che l’omicida pavido si è fermato, non l’ha fatto e torna alla solitudine. Che dietro all’ipotesi della violenza c’è la certezza del vuoto.
Cantet non riprende il discorso de La classe. Al netto di un’unica sequenza dove i ragazzi parlano in camera, non c’è più naturalismo, non c’è il nodo realista del linguaggio ma tutto viene inglobato in una struttura letteraria, è estremamente scritto, da Campillo che verga l’argomento nello stesso carattere di 120 battiti al minuto: tanto solido e divulgativo quanto didascalico e maiuscolo. Nella sua evidenza prolissa, L’atelier è un racconto a tratti confuso e probabilmente divorato dalla ricca messe di temi, posti o accennati (il migliore: l’attrazione tra il ragazzo e la scrittrice, che resta una possibilità), ma è anche profondamente piantato nel contemporaneo, ci guarda direttamente in faccia. Cantet e Campillo, alla fine, concedono al protagonista una speranza e smentiscono il contesto, disegnando un sentito omaggio al lavoro portuale: lasciamo Antoine su una nave, nel cantiere, con le sue debolezze ma forse lontano dall’estremismo.