Commedia, Drammatico, Sala

PARIGI, TUTTO IN UNA NOTTE

Titolo OriginaleLa fracture
NazioneFrancia
Anno Produzione2021
Durata98'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Una coppia sull’orlo della rottura, si ritrova in un pronto soccorso la sera di una protesta dei gilet gialli a Parigi…

RECENSIONI

Il primo rischio che si corre nel giudicare Parigi, tutto in una notte (orrida traduzione del ben più evocativo La fracture) è di considerarlo come un film sostanzialmente populista. D'altronde gli elementi per farlo ci sarebbero: Corsini sembra mettere la politica sullo sfondo, riducendola a una specie di scimmiottamento, che passa solo per le conversazioni animate nel pronto soccorso, o per gli stralci di TG che ogni tanto vengono messi in campo, scarsamente intellegibili perché mentre alla TV parla Macron le persone si agitano, urlano, soffrono. Così ci si parano davanti una rappresentazione eterodossa dei gilet jaunes, che sembra piuttosto edulcorata rispetto a quanto ricordavamo, e in generale uno sguardo che sancisce la scollatura definitiva fra istituzioni e cittadinanza.
Se si prende questa direzione, tuttavia, il film è facilmente, ingenerosamente e forse ingiustamente liquidato. La polarizzazione un po' schematica cui ci sottopone La fracture potrebbe invece costituire una proposta esegetica specifica, e non per questo meno politica: a fronte del manicheismo imposto dai media, che ci spinge sempre più spesso a parteggiare in un mondo di buoni e cattivi, specie quando non è la nostra diretta integrità a venire toccata, il film ci proietta in un contesto microscalare, che ci interpella direttamente. Che diritto abbiamo di giudicare, con tanta facilità, le altrui scelte?

In effetti Corsini non sembra voler necessariamente “universalizzare” i conflitti agrodolci che rappresenta, quando teneramente quando violentemente, nel disastrato (elemento di denuncia, messo in chiara evidenza) pronto soccorso parigino rappresentato come vero crocevia di esistenze travagliate. Al di là della messinscena dello scontro, fra la umorale e borghese disegnatrice Raf (ben interpretata da una ipertrofica Valeria Bruni Tedeschi) prima con la compagna Julie, poi con il camionista Yann, poi ancora con il medico specializzando che la visita, o ancora della stoica infermiera Kim (una stupenda Aïssatou Diallo Sagna) con pazienti urlanti, psichiatrici, o morenti, ciò che emerge è l’isotopia di una diffusa incapacità di comunicare e più specificamente di comunicarsi. Si tratta di un discorso sulla soggettività come condizione drammatica ma anche a tratti commovente, che non assurge necessariamente a voler metaforizzare modelli oppositivi più estesi (borghesia vs proletariato; polizia vs popolo). Il sotto(o sopra?)testo politico forse è questo: al fondo non c’è il popolo, ma ci sono le persone, contraddittorie e dal cui ritratto emergono come un crogiolo di tensioni ma anche di slanci autenticamente empatici (l’inaspettato parto che sancisce la “tregua” fra Raf e Yann, tanto per dirne una).

La fracture configura così una critica della ragion nevrotica, che si estrinseca nello spazio tutto francese del dramedy contemporaneo, in cui una congerie di elementi apparentemente eterocliti (la guerriglia civile fra polizia e gilet jaunes, una storia d’amore travagliato e forse disfunzionale, un adolescente un po’ disfattista che si mette nei guai in barba alle preoccupazioni delle madri, il turno di notte in una notte più incasinata delle altre, e così via) si intersecano nella concitazione di un pronto soccorso preso letteralmente d’assalto, laboratorio in cui osservare in vitro le più alte vette e allo stesso tempo le più basse depressioni dell’incontro-scontro fra soggettività umane. La regia contribuisce a dar ragione di questa prospettiva, fra shaky cam quasi-mockumentaristica e scelta di concentrare buona parte del girato in ambienti claustrofobici e confusionari che in alcuni momenti sembrano quasi farsi metafisici, come nel breve passaggio in cui Julie, persa nei meandri di un ospedale che sembra cadere a pezzi, incontra un paziente solo e dallo sguardo catatonico che si aggira, seminudo, fra i bui corridoi.
Tutto quanto detto fa sì che Le fracture sia un film difficilmente catalogabile: (psico)dramma con sprazzi caustici ma anche opera con una qualche vocazione sociologica; discettazione sui sentimenti umani ma anche esposizione, a tratti sfocata, di una società che non riesce più a stare insieme. E allora? E allora è senz’altro un buon film, perché riesce a coinvolgerci, pure alle volte nella sua ostentata pateticità, e in certi momenti a stordirci proiettandoci nel rumoroso caos di questo scorcio di una Parigi ospedaliera, in cui è difficile districarsi nel volutamente frenetico orizzonte morale che viene messo in scena. Unica nota un po’ meh: il doppio finale ha quel saporino stucchevolmente buonista, à la “domani è un altro giorno”, di cui forse si poteva fare a meno (colpo di scena compreso).