Fantascienza, Recensione

IMPOSTOR

Titolo OriginaleImpostor
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata95'
Tratto dadal racconto omonimo di Philip K. Dick, adattato da Scott Rosenberg
Fotografia
Scenografia

TRAMA

2079. La Terra, minacciata da crudeli alieni che vogliono distruggerla, è ormai ricoperta da uno scudo che oscura il cielo. Uno scienziato, Spencer Olham, da sempre al lavoro per salvare il genere umano, all’improvviso diventa un ricercato: si sospetta che sia stato sostituito da una sorta di replicante-bomba pronto ad esplodere.

RECENSIONI

Tratto da un racconto di Philip K. Dick del 1953, questo IMPOSTOR è un film che trova nel finale di stagione la sua giusta collocazione, dato che in qualsiasi altro periodo dell'anno sarebbe stato soffocato da blockbuster ben più accreditati e pompati. Ci sarebbe piaciuto vedere nel filmetto di Fleder una piacevole sorpresa da assaggiare in un periodo, quale il presente, di vacche ineluttabilmente magre (c'è chi lo ha sostenuto, in effetti) ma non è così. Tutto l'interesse si concentra sul suo tema e sull'ambiguità della figura del protagonista (il più dickiano degli interrogativi pesa su di lui: umano o replicante?). L'ambiguità del protagonista, si diceva: l'attenzione al film non viene meno perché gli eventi sono passibili di una doppia lettura, a seconda che si voglia avallare l'ipotesi avanzata dal servizio della Sicurezza planetaria che vuole il professor Olham ormai defunto e sostituito da un replicante dell'avverso pianeta, una sorta di bomba ambulante pronta a esplodere non appena abbia alla sua portata l'obiettivo (era Dick davvero un futurologo); oppure, ipotesi due, la sostituzione non è riuscita, il poveraccio è umano e ritenuto suo malgrado un pericolo per la Terra per la quale ha sempre operato con il massimo senso di responsabilità e di sacrificio. ll bello è che se di replicante si tratta il tapino stesso non se ne rende conto  per cui, prima ancora dello spettatore, il travaglio, la forte crisi di identità è innanzi tutto del personaggio. Dato l'intreccio parakafkiano il tutto si sviluppa come un costante e piuttosto convenzionale film di inseguimenti, allucinazioni e dubbi interiori in cui la Industrial Light & Magic la fa da padrona senza particolari sforzi di inventiva. Ricorrendo a un décor banalmente futuribile, già visto e di vera serie B, il regista sceglie di movimentare il tutto con un (ab)uso della macchina a mano e un montaggio frenetico che stufa da subito. Anche i ripetuti ralenti non giovano al registro (tele)visivo paurosamente sciatto e il doppio finale a sorpresa scuote solo per un attimo dal torpore, seguito dalla riproposizione della scena dei titoli iniziali (l'amplesso tra lo scienzato e la moglie) che assume, all'improvviso, ben altra valenza. Sul fronte attoriale alla maschera di Sinise (che è tra i produttori) fa riscontro il ritorno da tempo auspicato di una Madeleine Stowe paurosamente sprecata.