Grottesco

IL RITORNO DI CAGLIOSTRO

TRAMA

Il rinvenimento fortuito delle pizze del film “Il ritorno di Cagliostro” è il pretesto per narrare la storia dei fratelli La Marca e della loro casa di produzione cinematografica Trinachia, nata nel 1947 per far concorrenza a Cinecittà e dar vita a una “Little Hollywood siciliana”.

RECENSIONI

IL RITORNO DI CAGLIOSTRO è il nostro omaggio a tutti quegli uomini di cinema che dal cinema sono stati rovinati. Un film involontariamente autobiografico.
Ciprì e Maresco

C&M scelgono la strada del falso documentario (il primo riferimento che viene in mente è FORGOTTEN SILVER di Jackson) per mescolare, con ottima vena, umorismo sovversivo, un certo gusto trash (a tratti sembra di essere tornati ai mitici dischi degli anni 80 degli indimenticati Squallor), il Brutto che piace, l'horror becero, l'adorabile serie Z nel loro strampalato e vivissimo zoo umano ottenendo una prima ora di travolgente divertimento, intelligente, spassosa, irriverente. Un'operazione che cela non solo la caustica presa in giro del cinema e di una sua storia misconosciuta (i riferimenti a certe situazioni produttive di decenni fa sono più reali di quanto possa sembrare, hanno tenuto a sottolineare i due autori) ma della stessa critica e del sottobosco che stagna intorno al mondo della celluloide. Il dato sorprendente sta nel fatto che tanto più il film diventa sboccato e sgangherato, tanto più ottiene l'effetto di coinvolgere lo spettatore nelle spire della sua surreale (o iperreale?) recita. Peccato che nella seconda parte dell'opera si avverta un'esigenza un po' troppo calcolata da parte degli autori di abbandonare il registro brillante e di abbracciarne uno serio(so) - storico che, nobile quanto si vuole, vanifica un po' il sottile sottotesto autoreferenziale e l'accorto accumulo dei diversi livelli di rappresentazione che bene avevano contraddistinto la pellicola fino a quel momento. Anche così IL RITORNO DI CAGLIOSTRO è oggetto a parte (non solo nel cinema italiano), proposta originale di uno sguardo spietato e cinico, orgogliosamente lontano dai compromessi, che potrebbe sorprendere anche il pubblico più prevenuto.

Nell’Italia del “nuovorealismo” fine anni Quaranta, le assurde vicende di una factory siculo – statunitense, fra ingombranti protettori, cinematografari incapaci e interpreti mostruosi: il presunto capolavoro della Casa si rivelerà la pietra tombale dell’illogica avventura. Ciprì e Maresco realizzano un finto documentario alla ZELIG che mescola televisione e cinema, filmati amatoriali e pellicole “professionali” (nelle intenzioni), piccolo ed enorme schermo (maestoso il passaggio dal primo al secondo, alla fine del prologo), nitido bianco e nero e colori sgranati, cesellando una farsaccia irresistibile, densa d’invenzioni sporche, esilaranti e agghiaccianti sull’indissolubile relazione fra Denaro e Potere, destinata a distruggere i piccoli incubi di uomini incoscienti, corpi invasi da presenze ultraterrene e spiriti alcolici, inerti pupi nelle mani di onnipotenti e inquiet(ant)i burattinai. Un EFFETTO NOTTE (l’attore che farfuglia numeri, come la Cortese nel film di Truffaut) sui generis, d’una (auto/)ironia feroce, che nella seconda parte tende ad arenarsi inseguendo una malinconia sincera ma dai tratti un po’ troppo manierati (il presentatore, ammiccante bozzetto ricalcato da Chaplin non meno che da Lynch), prima di un epilogo che riunisce in sogghignante alchimia i genitori spirituali dell’opera, Buñuel e Godard (attenzione a non lasciare la sala prima della conclusione dei titoli di coda).

Baciamano al Cinema: elogio funebre, entusiasta cinefilia o amaro disincanto? Sempre più de(in romanesco)genere, Ciprì&Maresco non cessano di denunciare l’ignominia di un’isola in mano a Mafia&Chiesa, becera demenzialità in più e urticante dissacrazione in meno. “Cinico Tv” indaga il Forgotten Silver Zelighiano, chiama in causa Ed Wood, Mel Brooks, John Landis, Pino Grisanti (Mercanti?) ed Errol Douglas (Flynn?). Un contraddittorio (sofferto?) omaggio a pionieri che si riveleranno lestofanti uomini d'onore; infine un compromesso con se stessi, canaglie e perdenti, perciò simpatici. La pseudo-inchiesta a colori ritrova luoghi e volti fatiscenti in b/n nel making of di una scalcagnata casa di produzione, fischiata dai suoi stessi finanziatori, collusa con Lucky Luciano, capace di annichilire l’edulcorato Sogno Hollywoodiano nella persona di Robert Englund, finito a girare chissà come e perché con dei pazzi (metacinematografia autobiografica e autolesionista?). Ciprì&Maresco, in terza persona, ridono di/con se stessi mentre si ride di/con loro fino all’imbarazzo, quando la vera faccia (feccia) dell’uomo mostra il suo volto. Un lezioso nano, fornito di dialoghi prolissi, narra la fantasia che si avvicina più alla realtà e trasforma i sognatori in sciacalli e i divi da rottamare in martiri. Si ride, passando dal pecoreccio più facile alla messinscena trash più illuminata (La moglie del marziano=Plan 9 from Outer Space), fra cinefilia colta e (oc)cult(a), prove attoriali mirate e improvvisate (le smorfie di Pietro Giordano!), volti (mai) visti, irriverenze surreali (i balli-da-solo preteschi) e ricostruzioni (im)peccabili (L’Esorcista del barone!). Arriva il backstage sul film del titolo, girato da un cane vomitevole che butterà ai porci (come fa spesso la Sicilia?) il proprio riscatto: s’avverte sempre più l’imbarazzo di due autori che, strada facendo, perdono la voglia di (de)ridere e lasciano lo spettatore di sasso (come i due fratelli cineasti).

Inizia come "The Blair Witch Project" (il ritrovamento di pellicole), tra gli interpreti c'e' il sottovalutato Robert Englund (l'abitatore degli incubi notturni nel maglione verde-arancio di Freddy Krueger), eppure non e' un horror. Ma non e' neanche un film completamente riuscito l'ennesima incursione di Daniele Cipri' e Franco Maresco nei meandri oscuri dell'orrore umano. Se nelle interessanti opere precedenti del cinico e visionario duo si restava meravigliati e sconvolti da una sorta di poetica dello strazio, ne "Il ritorno di Cagliostro" una maggior linearita' narrativa finisce per non giovare al racconto. Ad una prima parte che rievoca con ironia la nascita della fantomatica e "edwoodiana" "Trinacria Cinematografica" prendendo in giro, senza mordere troppo, l'autorevolezza di giornalisti e benpensanti (divertita la partecipazione di critici e letterati di riconosciuta fama), segue una tutt'altro che lieve parte finale, in cui il destino di tutti i personaggi trova dettagliata spiegazione. Ben fotografato dallo stesso Cipri', il film sfuma il potenziale caustico in un teatrino di grossolana comicita', dove le gag arrivano alla risata quasi sempre in ritardo. Davvero encomiabile l'apporto di Robert Englund, che si presta con giocosa auto-ironia alla farsa del mito hollywoodiano. Avvicinandosi al pubblico, Cipri' e Maresco perdono in veracita' e ripropongono un modello cinematografico ai limiti del cliche', che si accontenta di risate facili a scapito di incisivita' e poesia. Qualche momento funziona a dovere (l'anticamera del vescovo con i prelati concentrati in uno swingante ballo, i provini per formare il cast, i cinegiornali che ricostruiscono il soggiorno di Englund in Sicilia), ma l'esasperata esibizione di mostruosita' arriva all'epidermide e li' si ferma. Non scalda, non indigna e poco coinvolge. Curiosita': perche' rutti e scoregge in "Natale sul Nilo" sono volgari e gratuiti mentre ne "Il ritorno di Cagliostro" dovrebbero entusiasmare?