
TRAMA
RECENSIONI
Al giovane e determinato federale Giovanni Comini viene assegnato dal Partito Fascista l'incarico di osservare un vecchio e affaticato Gabriele D'Annunzio, rinchiusosi in una sorta di esilio volontario all'interno delle mura decadenti del Vittoriale, con l'obiettivo di segnalare eventuali parole e atteggiamenti ostili al regime.
Dall'altra parte, al Vate, consegnata l'azione alla dimensione nostalgica e lontana del ricordo, non resta altro che osservare impotente un mondo che sta sprofondando inesorabilmente verso l'abisso. Ad accomunare Comini e D'Annunzio, il guardare (un gigante, un mondo); a distinguerli, almeno all'inizio, la consapevolezza di ciò che si sta osservando (e quindi vivendo).
L'ambizioso esordio di Gianluca Jodice (autore anche della sceneggiatura) è un film che pone il biopic nella luce forse più interessante, quella in cui la figura ingombrante che si mette in scena non è mai protagonista e fine ultimo del racconto, ma diventa testimone privilegiato e familiare di un mondo, di un frammento, di un sentimento, di un'epoca. Nonostante il titolo lasci presagire una centralità assoluta della sua figura, ne Il cattivo poeta D'Annunzio non è mai protagonista, bensì, esplicitamente e contemporaneamente, oggetto di un duplice sguardo (quello di Comini e il nostro) e lente attraverso cui osservare la Storia con gli occhi di chi aveva capito, prima di molti altri, la direzione che l'Italia aveva intrapreso. Guardare dunque, o meglio, saper guardare, con l'autonomia e la libertà di un poeta, significa anche criticare, mettere costantemente in discussione dogmi, convinzioni e imposizioni: è l'esercizio (poetico) dello sguardo che apre, nella coscienza di Comini, la strada del dubbio, il disgregamento delle facili (e quindi errate) certezze promulgate dal regime fascista.
Questi movimenti dello sguardo e questa continua tensione tra vedere il mondo e comprenderne, anticiparne le sue direzioni, mi sembrano le cose più interessanti di un film che cerca (trovandola solo a tratti) una teatralità solenne e malinconica, in cui gli ambienti assumono un valore decisivo: il Vittoriale in cui è rinchiuso D'Annunzio infatti, diventa al contempo luogo della memoria (di un passato energico in cui l'azione aveva sempre la meglio sull'osservazione), isolamento volontario e protezione da un presente di cui si è compresa anzitempo la tragicità, ma anche inquieto e imminente monumento funebre (di una vita e di un mondo). Un ambiente che, ovviamente, diventa palcoscenico: come la Hammamet del Craxi evocato da Gianni Amelio, con cui Il cattivo poeta condivide non solo l'evidente desiderio di sposare una narrazione e una messa in scena apertamente teatrali, ma anche lo sguardo su(alla fine) di un personaggio complesso e di un'epoca. Laddove però Amelio optava per una decisa rimodulazione della realtà (omettendo nomi, inventando personaggi e riuscendo anche a lavorare, con Favino, su un ingombrante e interessante concetto di maschera), Jodice affida tutta la sua ricerca alla cupezza delle immagini (la fotografia è di Daniele Ciprì) e alla gravosità del ritmo narrativo. Per questo, pur mantenendo a tratti un certo fascino, resta un'operazione molto più superficiale, in cui l'accostamento dei due linguaggi, insieme ad una scrittura prosaica che dice sempre troppo e ad un'interpretazione, quella di Castellitto, incisiva solo a metà, non sempre riescono a scalfire l'immediata evidenza della messa in scena.
È però anche un film che cerca un certo rigore (gliene va dato atto, al di là dei risultati, ed è un bel merito) e che offre, non importa se per intuizione o per comodità, una coerente e interessante rappresentazione di Mussolini. La sua apparizione nella seconda parte del film infatti, in fin dei conti, non è diversa dalle statue e dalle immagini del Duce che abbiamo visto fin lì: anche nella sua presenza, Mussolini è prima di tutto un simbolo, un corpo senza volto, eppure riconoscibilissimo, una figura dal contorno noto e dalla camminata implacabile; non persona, ma immagine e quindi, prima di tutto, veicolo di idee che hanno un effettivo potere sul mondo. Per comprendere questa immagine, per capirne davvero il suo potere terribile e devastante, bisogna, ancora una volta, imparare a guardare; magari con l'occhio critico di un poeta.
