TRAMA
Resuscita la sua fidanzata utilizzando un prodotto chimico inventato dal padre e studiato per creare macchine umane da guerra. È uno zombi e ha bisogno di carne…
RECENSIONI
Che il talento di Brian Yuzna si sperperi nei sequel è un peccato ma, d’altro canto, firma un capitolo degno del capostipite di Dan O’Bannon, spogliandolo dell’ironia anche sciocca per riallacciarla all’incubo. Fa anche poco affidamento sulla sceneggiatura di John Penney, fondata poco originalmente sull’amato mito della creatura di Frankenstein che sfugge al controllo (vedere la saga di Re-Animator), su banali premesse da teen-movie e sull’altrettanto usurata idea degli esperimenti segreti militari (anche il melodrammatico tentativo di resuscitare l’amata non è nuovo al genere). Il suo film cresce a latere passo dopo passo, fra ottimi trucchi orripilanti e descrizione di una romantica (decadente) storia d’amore. I veri mostri, è ovvio, sono gli uomini e, fra essi, si potrebbe annoverare anche il protagonista, insopportabile ragazzino idiota che non si rende mai conto di quel che sta succedendo, almeno (fuori tempo massimo) fino alla fine. Uno dei temi preponderanti riguarda il conflitto con la figura paterna ma nessuna istituzione autoritaria fa bella figura: il personaggio descritto nel modo più benevolo è un barbone generoso ed eroico, tanto per chiarire come la pensa Yuzna, che infonde alla pellicola di genere anche una poetica, un punto di vista, oltre a filmare con le amate luci al neon, atte a proiettare in una dimensione onirica quasi mitologica (il “traghettatore”?). Il film diventa di culto nella seconda parte, quando la brava Melinda Clarke tira fuori il dovuto autolesionismo e sfoggia una mise di piercing estremo da urlo: il tutto, alla Society, diventa sempre più sconvolgente e allucinante, fino al finale popolato da Freaks, dove i perseguitati non-morti si rivoltano contro i barbari umani e anche l’egoista ragazzo, che all’amata ha donato solo l’inferno, si monda fra le fiamme. Finale me-mo-ra-bi-le.
