TRAMA
Allegra Geller è la misteriosa inventrice di un gioco di realtà virtuale che viene collegato direttamente al cervello del giocatore attraverso una “bioporta” situata in fondo alla schiena. Durante una dimostrazione del gioco, che riguarda un’esperienza collettiva ottenuta attraverso l’utilizzo di un “pod principale” (l’organismo bio-elettronico capace di entrare in relazione sensoriale con il giocatore) ed altri pod schiavi, Allegra Geller viene assalita da un fanatico che la ferisce alla spalla con una misteriosa arma biomeccanica. Affidata ad un giovane che aspira a “far carriera”, Allegra Geller fugge dall’attentato cercando di proteggere la sua invenzione. Tuttavia le due realtà, quella dei protagonisti e quella ricreata dal “pod”, iniziano a confondersi sempre di più.
RECENSIONI
Quel che resta di David
Videodrome vent’anni dopo. Basterebbe forse questo a inquadrare l’ultimo lavoro di Cronenberg, che con eXistenZ torna a stratificare, confondere e contaminare diversi livelli di (ir)realtà in nome di un messaggio simile a quello del bel film dell’83 ma “traslato” dal mondo della televisione a quello dei videogiochi. Se però all’epoca (si fa per dire…) la constatazione che “la televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione” faceva il suo bell’effetto profetico e dirompente, l’assunto eXistenZiale odierno (il rischio di svuotare di senso la realtà, di non saperla “cristallizzare” e riconoscere nell’epoca dell’homo tecnologicus votato alla virtualità), lascia quantomeno perplessi. Intanto ci sono anni e anni di letteratura cyber che girano intorno all’argomento, ma soprattutto c’è un cinema che si è già abbondantemente pronunciato in materia. Certo, si dirà, il canadese è (stato) una sorta di precursore cinematografico della mise en abyme “percettiva” dei livelli di rappresentazione…certo…è stato il primo a parlare in maniera credibile e rigorosa della contaminatio biologico-meccanica indotta della tecnologia…certo…è stato il primo a tentare una descrizione scientifica (meccanica?) della nuova sessualità anch’essa derivata dalle “nuove esigenze” dello tsukamotiano uomo-macchina sospeso nel limbo tra organico e inorganico. Certo. E’ stato. Ormai però il cinema di Cronenberg dà l’impressione di essere entrato in una sorta di virtuoso corto circuito, un loop nel quale gli stessi temi, ossessioni e intuizioni genialoidi sono reiterati più, pare, per coazione a ripetere che per una reale volontà di dotare di un messaggio un medium ormai perfetto e inattaccabile nella sua sterile autoreferenzialità. E’ proprio questo, credo, la grande forza e insieme il grande limite del cinema del canadese, l’aver perfezionato e codificato una propria architettura ormai tetragona, inattaccabile ma chiusa, autonoma, che sembra ignorare quello che gli accade intorno. Il risultato è che gli ammiratori acritici e incondizionati continueranno ad amarlo alla follia, gli altri avranno “l’ardire” di notare che cose simili a quelle cronenberghiane le hanno già viste in…Cronenberg ma anche in Tsukamoto e in “strange days”, “the game”, “nirvana”, “matrix” et cetera et cetera…; una sola, forse, la novità (vera o presunta) in eXistenZ…tra tanti marchi di fabbrica immediatamente riconoscibili (morbose sessualità “altre”, il fascino del disgustoso, la recitazione impersonale e straniante, la gelida fotografia di Suschitzky) sembra far capolino un variabile (X o Z naturalmente) che sa di corpo estraneo: un pizzico di (auto?)ironia.
L'autore canadese si tuffa nel virtuale e ritorna al passato, pare ripiegare su se stesso, dopo lo sperimentalismo estremo di opere come Il Pasto Nudo e Crash: in realtà il suo è un cinema dell'eterno ritorno. Rivisita il "gore" allegorico di Brood, ritrova, per non rinnegarle, le convenzioni di genere, in una sorta di sobrietà, figurativa e contenutistica, che fa parte di un disegno ben preciso: come il videogioco, eXistenZ non inventa, reinventa l'esistente. Come un gioco, apparentemente non si vuole prendere nemmeno troppo sul serio: di qui la più marcata vena ironica. Esplicitamente citato dalla sequenza della pistola di pesce e cartilagine, Videodrome è il film-gemello, con attentati alla "sacerdotessa" e fusioni dell'uomo con un mezzo/medium per essere trasportato "dentro" l'evento, in una visione dall'interno in cui le allegorie si trasformano in veri e propri fenomeni dell'orrore. I joystick fetali e metacarnali (game-pod) si manifestano ripugnanti, con tanto di cordone ombelicale, connessi ad aperture, più anali che vaginali (il virtuale come eccitante sodomia?), poste nella schiena dei giocatori. Sono organismi viventi come le macchine da scrivere del Pasto Nudo, funzionano solo se "stimolate" eroticamente (giocare come atto sessuale, installare è penetrare). Il game-pod è, a sua volta, un parassita del corpo umano, la sua versione più piccola ci penetra come il verme di Shivers. L'attentato in apertura si specchia con la sequenza finale de La Zona Morta. Eterno ritorno. Il virtuale di eXistenZ si adatta agli individui che lo giocano. Il risultato è che "Bisogna giocare il gioco per sapere perché si gioca". La morale dipende dalla cognizione che ha l'individuo di vivere nella realtà o nella finzione. Se niente è vero tutto è possibile. I mutanti sono un segno dei tempi, un'estensione del corpo umano, o il corpo umano che, per estensione, vive delle sequenze, delle sceneggiature strutturate, dei videogiochi: lo "spettatore" si aspetta molto dall'avventura nel fantastico/orribile/irreale, per poi scoprire che è simile alla misera (non) realtà. La dimensione è ludica, ma le ambientazioni "nel" gioco sono di degrado e non tecnologico-futuribili. La riunione di collaudo del gioco è ambientata in una modesta chiesetta sconsacrata, sia per significare il ruolo di nuova religione del virtuale (il "vero" nome del gioco si rivelerà essere transCendenZ), sia per sottolineare che la "finzione" assomiglia tanto alla realtà nel suo "gioco di ruoli", che l'uomo di questo futuro vive già al di fuori di se stesso stando all'interno della propria mente. Vivere la vita vera in un gioco e viceversa.