
TRAMA
Due anziane dirimpettaie in un condominio nel sud della Francia sono in realtà amanti di lunga data. Insieme sognano di partire e ricominciare una nuova vita, libere da ogni vincolo di natura famigliare. Ma il loro legame viene nuovamente, duramente, messo alla prova dalle imprevedibili circostanze della vita…
RECENSIONI
Due, la cifra dell’amore, una sola parola per contenerne tutto il senso nascosto, accessibile solo se si possiede la chiave: come avviene con gli appartamenti di Nina (la Katharina Hartmann del trieriano Europa) e Mado, amanti da una vita e giunte da amanti all’ultimo capitolo della propria, quando tutto dovrebbe farsi paradossalmente più semplice, quando sarebbe ormai consentito tornare bambine che giocano in un parco, e invece gli oneri famigliari dell’una sopravvivono anche al defunto marito e si scontrano con lo scalpitare dell’altra. L’insorgere di un ictus riduce ogni possibile discussione alla muta realtà -quella dell’ordinaria somministrazione di cure e del ricorso alla badante, dell’imposizione e dell’egoistico rifiuto di chi non può comprendere, della scoperta di un lungo legame segreto che frantuma decenni di certezze nell’istante di una fotografia mai notata prima. Ma, su tutto, la negazione della parola fa posto al silenzio straordinario dell’intesa costruita nel tempo, delle abitudini e dei ricordi che fanno universo a sé, implicando il riconoscimento dell'altro e nell'altro. Il film racconta così, per cenni, tramite l’impedimento, la storia che non conoscevamo, storia di due amanti, al di là dell’età e del genere -“tout le monde s’en fout”, non interessa a nessuno [delle vecchie lesbiche]: così Nina, e attraverso di lei il film stesso, liquida la questione-.
I rispettivi appartamenti diventano accesso e barriera, nascondiglio e prigione, conforto e pericolo, dai fornelli rimasti accesi all’invasione barbarica che lascia un pavimento di rovine su cui danzare: nel mezzo, sul pianerottolo, esterno e ponte della relazione, un gatto da compagnia che di colpo non appartiene più a nessuno, dopo che il racconto senile si è fatto epica degli amanti osteggiati passando per il thriller. Allo stesso modo siamo invitati ad assistere e a restare in disparte, tra un frammento e l’altro, tra ostinazioni eccessive e ritorsioni prevedibili, in attesa del refrain musicale che fa da cartolina sonora di una Roma, città eternamente sognata, destinata a restare tale. Così Filippo Meneghetti (Padova, 1980) già autore di corti, esordisce in Francia senza lo sguardo dell'esordiente, ma con una padronanza dei codici di genere nella gestione della suspence e con una naturalezza di sguardo che compensano una certa dispersività e artificiosità di scrittura; ne deriva un primo lungometraggio contemporaneo e atemporale, accolto e apprezzato in numerosi festival e sorprendentemente selezionato a suo tempo come film francese presentato per la candidatura agli Oscar 2021.
