TRAMA
Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (il famoso anno zero, già evocato nel magnifico film di Roberto Rossellini, Germania anno zero) il giovane Leopold Kessler, fuggito, con la famiglia, negli Stati Uniti, all’inizio della guerra, torna in Germania per riscoprire la patria dei genitori e contribuire alla rinascita del paese. Lo zio, controllore di un vagone letto nella compagnia ferroviaria Zentropa, gli propone un posto di apprendista-controllore. Durante uno dei suoi spostamenti conosce Kate Hartmann, la figlia del proprietario della compagnia Zentropa.
RECENSIONI
La rotaia sotto il treno scorre insieme alla pellicola. L’inizio del viaggio, l’incipit del film. A ipnotizzare spettatore e protagonista la voce di Max Von Sydow, «Ora io conterò da uno a dieci, arrivati a dieci tu entrerai in Europa»: il cerchio si chiude, sintetizzando nella sostanza concettuale il ritorno non-organico in Europa de L’elemento del crimine e l’immersione organica nella materia filmica di Epidemic . «E… dieci»: in Europa, in Europa. Uguale e contraria all’America kafkiana. Burattini straniati e impotenti, spettatore e protagonista rispondono muti alle logiche stabilite dal cinico demiurgo, mentre l’Europa continua a marcire, a sfarsi, corrompendosi insieme all’integrità degli ideali. La decostruzione è implacabile quanto inspiegabile: la logica è altrove, alla radice, sommersa dalla tela di apparenze e manipolazioni, riscontrabile nella sprezzante cronica rivelazione dell’artefatto cinema, nella stratificazione delle immagini, verificabile negli eleganti vagoni della prima classe dietro cui ne scorrono altri, in cui le vittime giacciono affastellate. Connaturato ad ogni opera artistica, l’esercizio del potere diviene in Europa fulcro, cardine, sposando quel senso di determinazione infausta che si propaga virale in tutta la trilogia. Centrale è l’ostentazione della finzione filmica, il beffardo evidenziare l’inesorabile negazione della scelta (nell’oggetto dello sguardo da parte dello spettatore, nelle possibilità del fare per il protagonista): Europa è pura masturbazione (provocatoria, ché a tirare le fila, seppure su piani diversi, sono Von Trier e i residui del nazismo), tracotante istinto autoriflessivo che apre al semplice sollazzo dell’immagine, svelamento cronico di un gioco di prestigio ugualmente ammaliante. La metariflessione esasperata si annulla nello scorrere dei fotogrammi, è il processo necessario per giungere all’essenza della finzione, per godere della pura espressione del cinema. Dall’Europa non si scappa, pena la morte. Nemmeno da Europa si riesce a fuggire: «Vorresti svegliarti, liberarti dall’immagine dell’Europa. Ma non è possibile».