TRAMA
Nel 1963, la quindicenne Baby alloggia con la famiglia in un resort, dove un maestro di ballo tiene lezione ed è sospettato di aver messo incinta una ballerina prossima all’aborto: s’innamora di lui e occupa il posto di quest’ultima.
RECENSIONI
Immane successo, fatto di passaparola e re-visioni fra le teenager, per un film sentimentale abbastanza insulso nella trama favolistica (la sottotraccia sull’aborto non ha peso specifico) ma forte delle coreografie "bollenti" di Kenny Ortega, filmate del regista esordiente Emile Ardolino, proveniente dalla serie tv “Dance in America”. Patrick Swayze divenne un sex symbol, il ballo latino-americano (galeotto il mambo), da allora, è diventato un tormentone e funziona sempre, American Graffiti insegna, il richiamo ad un passato idilliaco prossimo all’oscurità (l’ambientazione ‘storica’, in realtà, non è molto accurata, il richiamo all’innocenza perduta dell’America pare solo pretenzioso e il film ammicca continuamente alla contemporaneità). L'insipida Jennifer Grey (figlia del ballerino/attore Joel di Cabaret) rispecchia il film ma è uno dei motivi per cui l’opera è piaciuta tanto: ingenua, borghese e poco attraente, ha creato un meccanismo d’identificazione in cui godere dell’irraggiungibile (Johnny Castle-Swayze) e imparare il linguaggio sessuale attraverso il ballo (perdere la verginità), beneficiando senz’altro delle componenti autobiografiche insite nella sceneggiatura di Eleanor Bergstein (Amarti a New York). Vendite enormi anche per la colonna sonora, guidata da "(I've Had) The Time of My Life" di Bill Medley e Jennifer Warnes, "She's Like the Wind" di Patrick Swayze e "Hungry Eyes" di Eric Carmen ma anche da una serie di hit del passato che sono le uniche a fare veramente ‘1963’.
